Padova story

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    Padova primo in classifica dopo quattordici turni? Ottimo segno, la stagione 2000-2001 insegna...
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    08.12.2014 14:48 di Alessandro Vinci articolo letto 691 volte

    Padova primo in classifica dopo quattordici turni? Ottimo segno, se si considera che nella Serie C2 (che allora era la quarta Serie del calcio italiano, mentre oggi è proprio la Serie D) 2000-2001, conclusasi con la promozione in C1 dei biancoscudati, gli uomini di Franco Varrella allo stesso punto del campionato occupavano il secondo posto in graduatoria (e la situazione era pure peggiore nel torneo 1980-1981, altra occasione in cui il Padova conquistò la terza Serie). Anche allora, più o meno come nel caso dell'annata attuale, l'estate antecedente l'inizio del campionato aveva visto la poltrona di presidente della società cambiare proprietario, ceduta da Viganò all'imprenditore padovano Alberto Mazzocco per la felicità dei tifosi biancoscudati, delusi da un misero sesto posto ottenuto dalla squadra al termine del campionato. Ed anche quella volta la squadra rivale nella corsa-promozione era veneta: oggi l'Altovicentino, quindici anni fa il Mestre. Differenza sostanziale, però, è il fatto che quel Padova, rivoluzionato e rinforzato dal nuovo consulente di mercato Italo Castellani con arrivi importanti, tra i quali spiccavano quelli di Roberto Colombo, Andrea Bergamo (padovano doc che andrà subito ad indossare la fascia da capitano), Felice Centofanti e Renzo Tasso, aveva iniziato il campionato con rendimento balbettante, per poi accelerare in maniera decisiva alla distanza. Eh sì, perché dopo le prime cinque giornate il Padova, partito con l'ovvio obiettivo di ottenere la promozione, aveva racimolato solo sei punti, preoccupando non poco i tifosi, i quali, dopo aver chiamato a rapporto la squadra a seguito della sconfitta del primo ottobre maturata a Vercelli, la settimana successiva all'Euganeo accolsero gli uomini di Varrella con un semplice quanto eloquente striscione: “Una domanda: siamo alle solite?”. No!, risposero in coro i biancoscudati, i quali, a partire dalla vittoria ottenuta quel giorno proprio contro il Mestre, grazie ad una doppietta del neoarrivato Ferronato, inanellarono una preziosissima serie di undici risultati utili consecutivi che permise loro, a seguito del quindicesimo turno, di superare in vetta alla classifica gli stessi arancioneri. Un periodo di forma smagliante, che però si concluse dopo otto vittorie consecutive (esattamente quante ottenute dal Padova di Parlato ad inizio campionato) all'ultima giornata del girone d'andata, quando il Mantova dell'ex Montrone espugnò l'Euganeo per 1-0 grazie ad una rete di Graziani. Poco male, tutto sommato: nonostante l'inaspettato stop, il Padova si laurea infatti ugualmente campione d'inverno, girando da capolista a quota 35 punti (quelli attuali degli uomini di mister Parlato) a più tre sul Mestre ed a più quattro sulla Pro Patria. C'è grande ottimismo nell'aria per il girone di ritorno. Lo testimonia l'incremento degli spettatori al seguito della squadra sia in casa che in trasferta, dopo anni di progressiva desertificazione degli spalti dell'Euganeo. Uno stadio che sarà di grande aiuto ai biancoscudati nelle prime gare del girone di ritorno, in occasione delle quali il leitmotiv è sempre lo stesso: vittoria in casa, sconfitta in trasferta, un copione che si ripete fedelmente fino al settimo turno di ritorno, quando i biancoscudati inciampano per 0-0 in casa del modesto Legnano. Ma il punteggio finale in questo caso passa in secondo piano alla luce dei barbari scontri che si verificano sul terreno di gioco a fine partita tra le due tifoserie e che si concludono solamente grazie all'intervento della polizia con un bilancio di dieci contusi. Ad ogni modo, a livello di classifica, il risultato maturato in Lombardia avrebbe potuto pesare non poco a causa della sconfitta arrivata sette giorni prima nel big match di Mestre, dove Centofanti e compagni erano caduti per 1 a 0 (rete decisiva di Polesel al 1' su generosissimo calcio di rigore concesso dall'arbitro Grilli) dopo aver dominato per tutto l'arco della gara, perdendo così la vetta della classifica proprio in favore dei padroni di casa. Fortunatamente però, gli arancioneri rimasero a secco di punti sette giorni più tardi sul campo della Pro Patria terza in classifica. Dopo ventiquattro giornate la situazione è la seguente: Mestre in vetta a quota 46 punti, Padova 45, Pro Patria 43. Riprendere a correre è l'imperativo in casa biancoscudata per riconquistare un primo posto sinonimo di Serie C1 ed evitare i sempre insidiosi playoff. Detto fatto: ecco arrivare già la settimana successiva il definitivo sorpasso in alta quota degli uomini di Varrella, che, lesti ad approfittare della sconfitta del Mestre sul campo della Pro Sesto, superano all'Euganeo il Novara per 2 a 1 grazie ad una doppietta di Michele Pietranera, attaccante arrivato nell'ottobre precedente dal Catania. Nove giornate al termine del campionato. Padova primo in classifica. E' il momento dello sprint finale verso un traguardo chiamato C1. E la strada appare ora in netta discesa per i biancoscudati, chiamati ad affrontare modeste compagini come Biellese, San Donà, Moncalieri e Montichiari, squadre contro cui, nel corso del girone d'andata, era iniziata la preziosa striscia delle otto vittorie di fila. Ed i pronostici non vengono traditi: biancoscudati a punteggio pieno con 12 punti in saccoccia specialmente grazie alla verve dei due bomber, ossia Centofanti (ormai diventato idolo indiscusso della tifoseria) e lo stesso Pietranera, che aveva iniziato a segnare con encomiabile regolarità. La vetta della classifica è ormai consolidata con 6 punti di vantaggio sulla Pro Patria seconda in classifica e 7 rispetto ad un ormai poco brillante Mestre a cinque giornate dal termine dei giochi. La promozione è ormai solo questione di tempo. Un tempo che però potrebbe dilatarsi a causa di un inaspettato 1-1 che si concretizza all'Euganeo il 14 aprile contro un Meda affamato di punti playoff. Ma il condizionale non è casuale, perché le inseguitrici non ne approfittano: Pro Patria a reti bianche a Sesto San Giovanni e Mestre KO in casa contro il Mantova. Dopo questo piccolo incidente di percorso, ecco il Padova tornare in marcia, asfaltando il Sassuolo a domicilio per 5 a 1 con tripletta di Pietranera e reti di Ferronato e Gasparetto. Grazie a questo risultato, i biancoscudati, a più 8 sul Mestre tornato al secondo posto, possono festeggiare la promozione con due giornate d'anticipo sul termine del campionato. Due sono i modi: o ottenendo i tre punti a Bolzano, sul campo del Sudtirol, oppure grazie ad una mancata vittoria degli arancioneri impegnati allo Zini di Cremona. Ed è proprio quest'ultima alternativa a verificarsi: 2 a 0 in favore dei grigiorossi allenati da Nanu Galderisi, che così confeziona un gran bel regalo per il suo amato Padova, ufficialmente promosso in Serie C1. Ininfluente dunque il risultato finale che matura in Trentino, ossia uno scialbo 0-0, così come lo saranno quelli degli ultimi due incontri della stagione: altra gara a reti bianche contro la Triestina e chiusura in bellezza con un divertente 3-2 che matura al Martelli di Mantova. Capocannoniere stagionale della squadra si laurea Centofanti con 15 marcature, seguito a quota 13 da Pietranera. Il cuore biancoscudato torna dunque a pulsare dopo anni di delusioni. Esattamente ciò che tutti si augurano accada anche oggi.
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    Centofanti, 15 gol stagionali

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    Storia di Nane Vecchina, sommo poeta del gol biancoscudato
    15.12.2014 16:32 di Alessandro Vinci

    “Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti dei “goal”. Ogni goal è sempre un'invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità”. Così scriveva Pier Paolo Pasolini in un articolo pubblicato sulle pagine de Il Giorno il 3 gennaio 1971. Il gol. L'essenza del gioco del calcio, la sua gioia più pura. Insomma, il momento grazie al quale ognuno di noi si è innamorato di questo sport. Ecco perché è doveroso parlare di Giovanni “Nane” Vecchina, il giocatore che ha segnato più reti nella storia del Calcio Padova. Colui che, “pasolinianamente” parlando, ha regalato più momenti poetici ai tifosi biancoscudati: 85.
    Vecchina, classe 1902, cresce calcisticamente tra le fila della squadra della sua città natale, il Venezia, con la cui maglia esordisce in Prima Categoria (la Serie A dell'epoca) appena diciassettenne, permanendovi sino al 1922. Ciò che accadde in seguito, è vicenda incerta, perché il 25 agosto del '24, giorno in cui il Padova lo mette sotto contratto, le cronache dell'epoca riferiscono che il nuovo attaccante biancoscudato non disputava gare ufficiali da oltre un anno. Sembra in ogni caso che, dopo aver concluso l'esperienza neroverde, si fosse trasferito nella città del Santo mantenendosi comunque in buona forma fisica allenandosi con regolarità. A suffragare questa ipotesi è anche l'avvio boom della sua esperienza in biancoscudato: sei gol nelle prime tre gare ufficiali con la nuova maglia. Il primo realizzato a Novara, il secondo ad Alessandria, e gli altri quattro in casa contro l'Andrea Doria, il 19 ottobre. Ma quest'ultima non era una partita come le altre: era infatti quella dell'inaugurazione del nuovo stadio biancoscudato, l'Appiani. E Vecchina, l'ultimo arrivato, vi aveva segnato i primi quattro gol della sua storia, il primo dei quali già dopo 3' di gioco. Impossibile però mantenere questa incredibile media di due gol a partita. Per chiunque. Dopo quattro settimane a secco, ecco Nane andare di nuovo in rete in occasione della sfortunata trasferta di Mantova del 14 dicembre, che termina sul 2-1 in favore dei virgiliani e vede per giunta infortunarsi gravemente Giovanni Monti, il capocannoniere della squadra nelle quattro precedenti stagioni, che tornerà in campo solamente un anno e mezzo più tardi. Niente paura però, perché l'attacco biancoscudato '24-'25 può fare affidamento su un Vecchina ed un Toni Busini in forma smagliante, che concludono entrambi la stagione con ben 15 reti all'attivo, contribuendo in maniera decisiva alla conquista di un ottimo quarto posto finale nel proprio girone alle spalle di compagini del calibro di Bologna, Pro Vercelli e Juventus, squadra, quest'ultima, contro cui Vecchina va a segno sia all'andata che al ritorno, gare terminate entrambe a favore dei biancoscudati. Sì, è proprio un Padova che diverte quello della metà degli anni '20. Una squadra che, oltre ad un attacco di indubbio valore, poteva contare in difesa sull'affiatata coppia di terzini Danieli-Barzan, ed in mediana sulla maginot Fagiuoli, Fayenz, Girani (il modulo di quegli anni, infatti, era in tutta Europa il 2-3-5, la “piramide di Cambridge”). In più, nell'estate del 1925, ecco arrivare alla corte di Burgess Jànos Biri, forte portiere ungherese nel giro della nazionale magiara, e, per sopperire all'assenza di Giovanni Monti, il fiumano Andrea Kregar. Sembra il preludio di una grande stagione per il Padova, che in attacco conta sui gol del suo centravanti: Vecchina. E Nane sembra non deludere le aspettative, andando a segno all'Appiani contro la sua vittima preferita, la Juventus (2-2 il finale), già alla seconda giornata. Ma evidentemente sugli attaccanti biancoscudati pesa una qualche maledizione: durante la trasferta sul campo della Sampierdarenese del quinto turno, infatti, si infortuna anche Vecchina. Tornerà in campo sette mesi più tardi, agli sgoccioli del campionato, ed inizierà subito a recuperare il tempo perduto siglando addirittura una tripletta nello stesso giorno del suo rientro in campo nel 5 a 2 che matura all'Appiani contro la Pro Vercelli e trovando la via del gol anche nella successiva gara contro la Cremonese. Ma il conto dei gol non si ferma qui: gli ultimi due arriveranno infatti il 18 luglio, in occasione del vittorioso recupero della gara interna contro il Milan, il cui originale risultato (3 a 2 per i biancoscudati) era stato annullato. Nonostante il lungo stop Vecchina conclude così la sua seconda stagione all'ombra del Santo con 7 reti all'attivo, mentre il Padova si posiziona ancora una volta al quarto posto, ma a ben 12 punti di distanza dalla Juventus capolista, che in seguito si laureerà Campione d'Italia. Ma è già tempo di voltare pagina. Nuova stagione, nuovi gol per Nane, che con le sue 9 reti (otto in campionato più una in Coppa Italia) torna in vetta alla classifica marcatori biancoscudata al termine di un'annata dal rendimento complessivo al di sotto degli standard degli anni precedenti da parte di una squadra rimasta orfana di Burgess e costretta, a causa di ristrettezze economiche, ad autogestirsi per gran parte del campionato sotto la direzione di capitan Aldo Fagiuoli, che a fine stagione appenderà le scarpette al chiodo. Insieme a lui, lasciano Padova anche altre colonne portanti dell'undici titolare come Biri, Toni Busini e Feliciano Monti. Sotto la guida del nuovo allenatore Charles Bell, l'obiettivo per la stagione '27-'28 è dunque quello della permanenza in massima Serie. Ed è qui che emerge il talento di Vecchina, che si carica sulle spalle la squadra ed inizia a segnare con regolarità impressionante, andando a segno per ben nove volte nelle prime undici gare di campionato, ossia nel girone d'andata. Il Padova è Nane-dipendente? Sì. A fine stagione, infatti, recheranno la sua firma ben 14 dei 24 gol messi a segno dalla squadra, che grazie al suo bomber alla fine riesce ad ottenere la salvezza (ma anche se non l'avesse ottenuta sarebbe stata poi ripescata causa riforma del campionato). Un traguardo che l'annata successiva apparirà come un'impresa: la federazione, infatti, aveva stabilito che, a partire dalla stagione '29-'30, il massimo campionato italiano si sarebbe disputato con la formula del girone unico a sedici squadre. Cosa significa questo? Che le retrocessioni per ognuno dei due gironi da sedici squadre sarebbero dovute essere ben otto, al pari delle squadre ammesse alla nuova Serie A. Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare, recita un famoso detto. E' nei momenti cruciali che si vedono i veri campioni. E Vecchina è uno di quelli. Uno che si esalta di fronte alle sfide più stimolanti. Ne scaturirà infatti la miglior stagione della sua carriera. Una stagione con medie da capogiro: 23 gol in 25 partite disputate. Come di consueto, inizio col botto per Nane, che va a segno alla prima giornata contro il Novara (2-2 il finale), alla seconda contro il Modena (5-1 in favore dei canarini), alla terza contro l'Alessandria (3-3), alla quarta per ben tre volte contro il Livorno (4-3 per gli uomini di Burgess, tornato alla guida dei biancoscudati dopo due stagioni) ed alla quinta siglando il gol decisivo nella vittoria dell'Appiani contro il Prato (2-1). Un'altra tripletta arriverà poi all'ottavo turno, in occasione del pirotecnico successo interno per 4-3 sulla Pro Patria, con un suo rigore a portare definitivamente in vantaggio i biancoscudati all'87'. Prestazioni che gli varranno la sua prima, meritatissima convocazione in Nazionale per l'amichevole in programma il 2 dicembre a San Siro contro l'Olanda. E fu un esordio vincente: Vecchina partì titolare e gli azzurri si imposero sugli orange per 3-2 con doppietta di Libonatti e gol di Baloncieri. La sua seconda convocazione arriverà poi tre anni più tardi, nel 1931, ma ormai Nane non vestiva più la maglia del Padova. Ad ogni modo, una volta tornato dall'esperienza azzurra, il bomber veneziano conclude il girone d'andata con altri due gol, realizzati al decimo ed al dodicesimo turno rispettivamente contro Atalanta (2-2 il finale) e Legnano (3 a 1 in favore dei biancoscudati), ma anche, purtroppo, rimediando nel corso della trasferta di Bari, ultima gara dell'andata, un infortunio che lo costringerà a saltare le prime quattro partite del girone di ritorno. Incontri che – guarda caso – coincideranno con altrettante sconfitte che faranno precipitare biancoscudati in zona retrocessione. La squadra ha enorme bisogno di Nane per rialzarsi. E lui, come al solito, risponde presente, andando a siglare una doppietta sul terreno del Prato ultimo in classifica nel giorno del suo rientro in campo, permettendo così al Padova di tornare dalla Toscana con due preziosissimi punti in più in classifica. E' la rinascita per i biancoscudati, che grazie ai gol di Vecchina a fine stagione otterranno l'ottavo posto, l'ultimo utile per la qualificazione alla nuova Serie A. Tra le reti di Nane da segnalare nell'ultima parte della stagione, senza dubbio la tripletta rifilata alla Roma al ventiduesimo turno (la terza ed ultima stagionale in altrettanti successi biancoscudati per 4-3) e la punizione trasformata a San Siro contro il Milan a dieci minuti dal 90' che permise al Padova di imporsi per 2-1 sui rossoneri due giornate più tardi. Insomma, Vecchina non solo segna tanto, ma risulta sempre decisivo. Ed in cinque stagioni ha già realizzato 68 reti, risultando così il giocatore più prolifico nella storia della società. Ma a lui non basta. C'è un'ultima missione da portare a termine per l'idolo dei tifosi biancoscudati: salvare il Padova nel nuovo campionato a girone unico, che avrebbe compreso la crème de la crème del calcio italiano. Come andò a finire? La squadra, lungi dall'essere rinforzata in fase di mercato, retrocesse all'ultima giornata, classificandosi al penultimo posto, a meno due punti dalla zona salvezza. Ma Vecchina fu uno dei pochi a salvarsi: la sua fu infatti una stagione segnata da prestazioni di spessore: 17 gol in 23 presenze. Un numero considerevole per una squadra retrocessa, ma che non bastò per evitare al Padova la prima delusione della sua storia.
    Ormai tutta Italia si è accorta delle qualità di Nane, che nell'estate del 1930 saluta dunque il Biancoscudo dopo sei anni di militanza, 118 presenze e 85 gol. Numeri da campione vero. Numeri da futuro tricampione d'Italia. Eh sì, perché Vecchina passa alla Juventus, con la cui maglia conquista i primi tre scudetti dell'epoca d'oro bianconera. I primi due da titolare, il terzo da comprimario, a causa dell'arrivo di Felice Borel, il farfallino. Ecco perché nel '33 Nane sceglie di cambiare aria, ma non città, accasandosi al Torino. A 31 anni, però, la sua carriera è fisiologicamente entrata nella fase calante (aveva esordito con il Venezia nel '19 appena diciassettenne): saranno infatti solo tre i gol che metterà a segno in due stagioni in granata. Nel 1935, eccolo passare alla Biellese, in Serie C (20 presenze e 6 gol), per poi tornare a casa, tra le fila del Venezia, con la cui maglia, seppur disputando la miseria di due partite in Serie B, conquista la promozione in Serie A. Un'ultima vittoria che, a 36 anni d'età, avrebbe potuto rappresentare la naturale conclusione di una carriera coi fiocchi. Invece no. Di voglia di giocare Vecchina ne ha ancora e si accasa nuovamente in Serie C, alla Palmese, e successivamente al Siracusa, dove funge da giocatore-allenatore mettendo a segno tre reti in tredici presenze e sfiorando la promozione in Serie B dopo aver chiuso il proprio girone al secondo posto, ad una sola lunghezza di distanza dal Taranto qualificato agli spareggi-promozione. A quasi trentotto anni d'età, Nane sceglie poi di porre fine alla sua ventennale carriera calcistica per intraprendere quella di allenatore, anche alla luce dell'ottimo risultato ottenuto con il Siracusa. Ma, come spesso accade a giocatori del suo calibro, il rendimento in panchina non si rivelò in linea con quello espresso sul terreno di gioco. Quattro le squadre da lui allenate, tutte negli anni '40. Prima di esse è il Rovigo, che Vecchina riuscirà a condurre, da subentrato, al nono posto in Serie C nella stagione '42-'43. Poi nel '47 ecco la grande occasione della Serie A sulla panchina del Vicenza. Un'avventura che sembra però giungere al capolinea già dopo la terza giornata di campionato, quando, dopo la vittoria interna contro la Salernitana, la società biancorossa lo sostituisce con Pietro Spinato (probabilmente furono dunque dimissioni da parte dell'ex centravanti biancoscudato). Vecchina però non perde tempo e già ad inizio novembre firma per il Napoli, squadra che guiderà senza grosse fortune per dieci giornate a cavallo tra l'ottavo ed il diciottesimo turno, per poi tornare in primavera al Vicenza senza però riuscire ad evitarne la retrocessione (stessa sorte che tocca ai partenopei, spediti in B sia per verdetto del campo, sia per quello della CAF causa illecito). Infine, a cavallo tra le stagioni '48-'49 e '49-'50 passa alla guida della Pistoiese, in Serie C, collezionando anonimi risultati da metà classifica. Sarà questa l'ultima esperienza calcistica del grande Nane, che si spegnerà a Vicenza all'età di settant'anni, nel 1973, ancora in cima alla lista dei bomber all time biancoscudati, posizione che mantiene ancora oggi e che gli fa guadagnare con pienissimo merito il titolo di “più grande poeta del gol” della storia del Calcio Padova.
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    Giovanni 'Nane' Vecchina
     
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    1957-1958: la stagione dei record. Cronaca di un sogno tricolore tutto biancoscudato
    22.12.2014 18:45 di Alessandro Vinci

    In ambito storico, quello del punto di massimo splendore era un concetto ben noto già agli antichi greci. Akmè era il termine da loro utilizzato per indicarlo. Quale quello biancoscudato? Non ce n'è uno solo. Ce ne sono ben undici: Pin; Blason, Scagnellato; Pison, Azzini, Moro; Hamrin, Rosa, Brighenti, Mari, Boscolo. Questi i leoni della stagione dei record, la stagione 1957-1958, eroi che portarono il Padova a conquistare un magnifico terzo posto in Serie A. Nomi che riecheggiano nella mente di ogni tifoso biancoscudato, volgendola verso un calcio ormai perduto. Un'epoca in cui anche una squadra come il Padova poteva vivere il proprio sogno tricolore, al pari di quanto accaduto esattamente trentacinque anni prima, nel corso della stagione '22-23. Anche allora i biancoscudati si erano classificati al terzo posto nell'antica Prima Divisione, alle spalle del Genoa campione d'Italia e della Pro Vercelli, dopo essersi qualificati alla fase finale della competizione grazie al successo ottenuto nel proprio girone d'appartenenza. Ma l'exploit che è veramente passato agli annali è proprio quello del 1957-1958, vuoi per la “semplicità” del girone unico, vuoi per la maggior prossimità temporale ai nostri giorni. E sì che la stagione non era propriamente iniziata sotto i migliori auspici. Tutt'altro. Ad inizio luglio, infatti, il presidente Bruno Pollazzi aveva comunicato le proprie dimissioni irrevocabili dovute alla disastrosa situazione in cui versavano le casse societarie: ben 186 milioni di lire di passivo. Una cifra davvero ingente all'epoca. Al suo posto, la stanza dei bottoni biancoscudata venne affidata al vicepresidente Gino Vescovi, nominato commissario straordinario, e tutti i giocatori della rosa vennero dichiarati cedibili. Per fortuna, però, questa fu solamente un'esternazione di facciata. A lasciare la città del Santo, infatti, furono inizialmente i soli Sarti e Nicolè, i due enfant prodiges biancoscudati, che fu impossibile trattenere a fronte delle lusinghiere offerte giunte da parte dai più facoltosi club dell'epoca: il primo passò alla Sampdoria in cambio della cessione a titolo definitivo di Humberto Rosa, perno del centrocampo biancoscudato già nella precedente stagione, e di venticinque milioni, mentre il secondo firmò per la Juventus, che versò al Padova ben sessanta milioni di lire. Cifre che furono come ossigeno per il malconcio bilancio societario. L'intenzione di dirigenza e allenatore (il riconfermato Rocco) era però quella di migliorare il tredicesimo posto ottenuto nel campionato appena terminato. Ma c'era da fare i conti con un'inevitabile spending review. Ecco perché, per porre rimedio alla poca incisività evidenziata dal reparto offensivo (secondo peggior attacco del campionato, mentre la difesa si rivelò addirittura la meno battuta), vennero messi sotto contratto due giocatori sui quali in pochi avrebbero scommesso. Calciatori ritenuti ormai finiti, entrati nella fase calante delle rispettive carriere a causa di numerosi infortuni che li avevano colpiti negli anni precedenti: Kurt Hamrin e Sergio Brighenti. Il primo in prestito dalla Juventus (nessun diretto collegamento con l'affare-Sarti), il secondo a titolo definitivo dall'Inter. Conseguenza del loro arrivo in biancoscudato fu la partenza del bomber delle precedenti stagioni, protagonista della promozione del '55: Amedeo Bonistalli. L'undici che farà la storia è dunque completo. Tra i pali Toni Pin, portiere minuto (era alto 1 metro e 75) ma agilissimo, come libero “spazzatutto” un fedelissimo del paròn quale Ivano Blason alle spalle della maginot formata da Moro, Scagnellato ed Azzini. In mediana poi ecco le mezze ali Mari e Pison a supporto del regista della squadra, Humberto Rosa, fulcro di ogni manovra, pronto a lanciare a rete i neoarrivati Brighenti e Hamrin, due brevilinei assolutamente adatti a raccogliere i lanci ed a finalizzare le ripartenze imbastite dalle retrovie. A completare la formazione, l'ala sinistra numero undici, il pendolino Enore Boscolo, altra vecchia conoscenza di Rocco. “E non fu un caso che gli arrivi estivi antecedenti alla conquista del terzo posto fossero stati solamente due”. Ci confessa lo stesso Humberto Rosa. “Una squadra importante si costruisce con gli anni. L'affiatamento è fondamentale”. L'8 settembre all'Appiani, però, in occasione dell'esordio in campionato contro la Lazio, Nereo Rocco non sedeva in panchina. Il motivo? Due settimane prima era stato squalificato per sei mesi per omessa denuncia nell'ambito del caso Padova-Legnano che aveva tenuto banco per tutta l'estate in casa biancoscudata. Ciò significa quindi che avrebbe saltato la maggior parte del campionato, tornando disponibile solamente a dodici giornate dal termine, il 26 febbraio, tre giorni dopo l'incontro interno contro la Juventus. Una partita che si rivelerà la più importante della storia biancoscudata... Al suo posto dunque, durante le prime ventidue giornate, a guidare la squadra da bordo campo fu il vice allenatore Elvio Matè, ex bandiera biancoscudata. Ed il buon giorno si vide dal mattino. Prima giornata e prima vittoria: 3 a 1 il finale contro la Lazio. In rete Hamrin, Moro e Chiumento, polivalente mezzala in biancoscudato già da tre stagioni che figurerà spesso nell'undici titolare al posto di Mari o di Boscolo. Un esordio niente male dunque per i panzer di Rocco contro la terza classificata del campionato precedente. Ma che la stagione non sarebbe stata priva di soddisfazioni lo si intuisce già la settimana successiva, quando, dopo aver sconfitto il Genoa per 4 a 1 specialmente grazie ad una tripletta di Hamrin, il Padova si ritrova in vetta alla classifica ex aequo con la Juventus. Una posizione che però verrà presto abbandonata a seguito della sconfitta esterna subita sul campo della Roma e del pareggio a reti bianche maturato contro l'Inter all'Appiani. Il successivo impegno proprio sul campo di una Juventus ancora a punteggio pieno rappresenta dunque l'occasione per testare la reale consistenza di Scagnellato e compagni. Ma non ci fu nulla da fare: decisivi si rivelarono i gol siglati da Boniperti e dall'ex di turno Stivanello, ed inutile quindi la rete del 2 a 1 realizzata da Moro su rigore a cinque minuti dal 90'. Ed a far abbassare ulteriormente la cresta ai biancoscudati ci pensò sette giorni più tardi anche il Napoli, che di fronte al proprio pubblico asfaltò gli uomini di Matè per 4 a 0, rispedendoli nell'anonimato della parte destra della classifica. Con un digiuno di vittorie che si protrae da oltre un mese, c'è immediato bisogno di una reazione da parte della squadra. Ed è a questo punto che si scatena Kurt Hamrin, la faina, galvanizzato dalla recente nascita del secondogenito. E' lo svedese infatti che, realizzando quattro reti, regala ai biancoscudati due importanti successi interni contro Vicenza (1 a 0 il finale) e Torino (3-0), per poi replicare il 3 novembre a Bergamo, sul campo dell'Atalanta, quando fissa sull'1 a 1 il punteggio finale dopo l'iniziale vantaggio nerazzurro firmato Mion. E' ufficiale, il Padova è tornato a correre, lo certificano anche i quattro successi consecutivi che maturano contro Sampdoria, Alessandria, Udinese e SPAL, quest'ultimo con un nuovo, vecchio presidente alla guida della società: Bruno Pollazzi, che il 13 dicembre era tornato a ricoprire la carica di numero uno biancoscudato. Il Padova non perde ormai da sette turni, i risultati ottenuti sono di quelli importanti. Ecco dunque che, dopo aver impattato 1 a 1 sul campo dell'Hellas Verona, i biancoscudati hanno la possibilità di festeggiare l'anno nuovo salendo al secondo posto in caso di risultato positivo nel recupero del decimo turno sul campo del Milan il giorno di capodanno. E così accadde: 1-1 il finale, ma non senza rammarico, poiché la rete del pareggio milanista arrivò solamente all'89', con Schiaffino a rispondere al vantaggio biancoscudato firmato, ancora una volta, Kurt Hamrin. Ad ogni modo, il Padova è secondo in classifica insieme alla Fiorentina a quota 20 punti, a sole tre lunghezze di distanza dalla Juventus capolista. In città si sogna, ma Rocco tiene i piedi ben piantati a terra: “E' il più bel giorno della mia vita, ma non mi monto la testa. Punto solamente alla salvezza”. Sarà, ma il Padova continua ad allungare la propria striscia positiva anche il 5 gennaio in casa del Bologna, dove il finale è di 0-0, nonostante le proteste biancoscudate per la mancata sanzione da parte dell'arbitro Adami di un evidentissimo calcio di rigore a causa di una parata di Bodi, mediano rossoblu, su potente colpo di testa di Brighenti diretto nel sacco. All'indomani Rocco riguardo all'accaduto dichiara: “Noi e le altre provinciali che tanta noia diamo agli squadroni sappiamo di partire ad ogni campionato con almeno 4-5 punti di handicap...”. Fortunatamente, anche la Fiorentina non riesce a strappare più di un punto contro l'Atalanta. Il secondo posto è dunque salvo, ma la Juve scappa a più cinque. E l'ultima giornata del girone d'andata vede in calendario proprio Padova-Fiorentina. All'Appiani accorrono in 23000. Un numero mai registrato in precedenza per una partita dei biancoscudati. E non rimarranno per nulla delusi: Padova vittorioso per 3-2 (in rete Brighenti, Boscolo e Moro) e dunque capace di portarsi a meno due dalla Juve al giro di boa, alla luce della sconfitta patita dai bianconeri sul campo della Roma. Lo stesso su cui cadranno però sette giorni più tardi Scagnellato e compagni contro la Lazio, ponendo così fine alla miracolosa striscia positiva che si protraeva da ben undici gare. A decidere il match è infatti la rete realizzata in apertura di ripresa da Umberto Pinardi. Fortunatamente però, i successivi due impegni contro Genoa e Roma avrebbero dovuto avere luogo all'Appiani, stadio in cui il Padova aveva vinto le ultime sei gare disputate di fronte al pubblico amico. Sei che diventeranno otto: rossoblu e giallorossi sconfitti con tre reti di scarto rispettivamente per 6-3 (con poker di Hamrin) e 3-0. Manca ormai davvero poco allo scontro diretto contro la Juve capolista, solamente due settimane. Prima, però, c'è da recarsi in quel di San Siro a far visita all'Inter di Skoglund e Angelillo, dove il risultato sarà il medesimo dell'andata: 0-0. Con la contemporanea vittoria degli uomini di Brocic contro la SPAL, alla vigilia dello scontro diretto la situazione nei piani alti della classifica è dunque la seguente: Juventus 33 punti, Padova 28, Fiorentina 25. Il 23 febbraio è il giorno della verità. Per continuare a sperare realisticamente nel tricolore, il Padova ha un solo risultato utile: la vittoria. L'Appiani è un catino infuocato di passione biancoscudata. I biglietti vanno presto sold out, la capienza dello stadio viene ampiamente superata, tanto che i numerosi spettatori che non riescono ad accomodarsi sugli spalti sono costretti assistere alla partita letteralmente a bordo campo, a pochi centimetri dalle linee laterali. Ma questo soprattutto grazie al personale intervento di Pollazzi ed Umberto Agnelli, i due presidenti. Questa la testimonianza di Blason: “Gli spettatori che si erano posizionati a bordo campo erano stati fatti allontanare dal servizio d'ordine dello stadio. Ricordo le loro facce quando ci passarono davanti, facce da cadaveri, tristi tristi. A quel punto Pollazzi ed Agnelli dichiararono che se ci fossero stati problemi la partita l'avrebbe vinta la Juve”. Patti chiari, amicizia lunga. Si può procedere. Il Padova scende in campo al completo, con il suo undici ideale, mentre la Juve deve fare a meno dell'infortunato Sivori. E sarà proprio un suo connazionale a sbloccare il match: Humberto Rosa al minuto numero 38, trasformando in oro da pochi passi un preciso servizio del sempre frizzante Hamrin, che aveva seminato il panico sulla destra. L'Appiani è in visibilio, ma la gara è ancora lunga, lunghissima. Troppo. Al 78', infatti, le insistite iniziative bianconere per giungere al gol del pareggio vanno a buon fine grazie ad un guizzo di Stacchini, che porta il risultato sull'1 a 1, punteggio che perdura sino al triplice fischio, complice anche un calcio di rigore di Corradi parato da Pin negli ultimi minuti di gioco. Incredibili le coincidenze del calcio. Stacchini, l'uomo che andò a spegnere ormai definitivamente le speranze scudetto del Padova sarà proprio colui che, in tandem con Mauro Sandreani, trentasei anni più tardi riporterà il Biancoscudo in Serie A dopo un'assenza ultratrentennale dal massimo campionato. Al termine della sfida verità, i punti che distanziano i biancoscudati dai bianconeri rimangono dunque cinque. Troppi da recuperare per una cenerentola come il Padova nei confronti di una squadra che fino a quel momento ne aveva lasciati per strada solamente nove, partita dell'Appiani esclusa. In ogni caso, siccome sognare non costa nulla, i biancoscudati, guidati nuovamente in panchina da Rocco, vanno ad ottenere punteggio pieno nelle successive due gare contro Napoli e Vicenza senza riuscire però a rosicchiare alcun punto alla corazzata Juve. Il 2-0 subìto sul campo del Torino e l'imprevisto scivolone interno contro l'Atalanta (un pesante 3-0 nell'ambito del quale venne in seguito squalificato per due anni Azzini, colpevole, secondo la CAF, di avere venduto una propria prestazione scadente agli orobici) chiusero poi il discorso scudetto consegnando così il tricolore alla Juventus, che poté dunque iniziare ad appuntarsi sul petto la prima stella della sua storia. Per quanto riguarda il Padova, le successive sette gare coincisero con altrettanti risultati positivi: quattro vittorie ottenute contro Milan, Sampdoria, Verona e Bologna, e tre pareggi maturati contro Alessandria, Udinese e SPAL. All'ultima giornata è in programma Fiorentina-Padova, terza contro seconda. Un solo punto di distanza tra le due. Una gara con il prestigio solamente della conquista della piazza d'onore, non essendo ancora nata la Coppa Uefa. Come andò a finire? Fu una debacle. 6 a 1 il pesante passivo con cui un Padova schierato con varie seconde linee concluse la miglior stagione della propria storia, posizionandosi dunque al terzo posto, a quota 42 punti, a meno uno dalla Fiorentina ed a meno nove dalla Juventus matematicamente campione d'Italia già con tre giornate d'anticipo rispetto al termine del campionato. Sulle vicende di quel magnifico torneo tornò ripetutamente, alcuni decenni più tardi, Gianni Brera, grande amico di Nereo Rocco. “Se il Padova non fosse stato penalizzato dagli arbitri, l'avrebbe vinto quello scudetto. E forse non solo quello. Era una squadra che i critici del catenaccio, ossia la stragrande maggioranza della stampa, giudicavano reproba, per cui non veniva tutelata”. Questo il suo pensiero. E se lo dice uno come lui c'è da fidarsi.

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    Quattro allenatori ed una salvezza al fotofinish: la pazza stagione 1950-1951
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    05.01.2015 17:15 di Alessandro Vinci

    La stagione dei quattro allenatori. Non può che venire ricordata così la turbolenta annata 1950-1951 del Calcio Padova, all'epoca in Serie A. Dal 1929 (anno dell'istituzione del girone unico) ad oggi, sono state dieci le stagioni durante le quali tre tecnici si sono avvicendati sulla panchina biancoscudata nel corso di un singolo campionato (stagioni '38-'39, '45-'46, '51-'52, '52-'53, '72-'73, '73-'74, '77-'78, '83-'84, '98-'99 e 2013-2014). Ma il numero quattro venne raggiunto solamente nel 1950-1951. Un'epoca, quella, in cui il cambio d'allenatore era di moda così come in questi ultimi anni. Le statistiche parlano chiaro: il record assoluto di esoneri stagionali in Serie A risale infatti alla stagione 2011-2012 (quando si toccò quota 16), seguita a ruota da quella 1951-1952 (15). Insomma, bene o male il Padova anticipò i tempi, riuscendo inoltre, nonostante la grande instabilità tecnica che caratterizzò gran parte del campionato, a conquistare una pregevole salvezza al fotofinish. A guidare la squadra in avvio di stagione il Campione del Mondo 1938 Pietro Serantoni, già più volte tecnico dei biancoscudati nel corso delle quattro precedenti stagioni. Un uomo su cui il presidente Valentino Cesarin faceva sicuro affidamento. Squadra che si salva non si cambia, anzi, possibilmente si migliora: questo il motto per la campagna acquisti dell'estate del 1950, che vide dire addio al Biancoscudo i soli Checchetti e Vitali, rimpiazzati al centro del reparto offensivo da un argentino scovato tra le fila dell'All Boys da Curti, attaccante del Padova suo compatriota incaricato dalla dirigenza di cercare in patria un nuovo centravanti: trattasi di Enrique Andrès Martegani. Un acquisto che si rivelò azzeccatissimo. Unica altra novità nell'undici titolare, la conquista di un posto in mediana da parte del giovane Gianfranco Ganzer al fianco di due bandiere assolute come Matè e Zanon. Dopo il ritiro estivo di Fiera di Primiero, tutto è dunque pronto per affrontare il nuovo campionato, che sembra presentarsi sotto buoni auspici. L'inizio si rivela però balbettante, con il Padova che nelle prime quattro partite registra tre sconfitte (tra cui una pesante manita sul campo della Roma) ed una sola vittoria, ottenuta alla seconda giornata contro la Lazio e griffata dai due argentini della squadra: Curti e Martegani. A partire dalla vittoriosa sfida interna contro la Pro Patria del quinto turno, però, il vento gira ed il Padova inanella una preziosa serie di cinque risultati utili consecutivi, portandosi così, dopo le prime dieci giornate, all'ottavo posto in classifica ex aequo con l'Udinese a quota dieci punti, uno a partita di media. I saliscendi però, non sono per nulla finiti: ecco infatti arrivare quattro KO nelle successive giornate rimediati contro Palermo, Milan, Atalanta e Como, seguiti da due importanti successi interni su Triestina e Lucchese. Certo, il Padova non viaggia a ritmi trascendentali, ma la situazione di classifica è in linea con le aspettative di inizio stagione. Dopo quindici turni infatti, i biancoscudati occupano il nono posto in graduatoria a quota 14 punti. Tutto regolare, verrebbe da dire. Ma a seguito della vittoria contro i toscani, ecco il colpo di scena: Serantoni comunica le proprie dimissioni “per imprecisati motivi”. Il Padova si ritrova di colpo orfano del proprio mister. Ed a rimanere spiazzato è principalmente il presidente Cesarin che, in attesa di mettere sotto contratto un nuovo allenatore, il martedì successivo affida la conduzione tecnica della squadra a capitan Pietro Sforzin, bandiera biancoscudata di lungo corso dall'alto delle sue 284 presenze (che a fine stagione diventeranno 302, quota superata dal solo Scagnellato) oltre che ad Antonio Blasevich, che rimane però nelle vesti di viceallenatore e viene incaricato di dirigere la squadra dalla panchina durante le partite. Lo scossone non risulta però indolore, anzi, il Padova la domenica successiva (alla vigilia di Natale) cade a Novara per 2-1 sotto i colpi dell'eterno Silvio Piola, per poi chiudere l'anno in bellezza asfaltando il Genoa fanalino di coda per 4-0 sette giorni più tardi. Il 3 gennaio, ecco poi il nome del nuovo allenatore: Giovanni Ferrari, altro Campione del Mondo '38, chiamato ad affrontare un esordio a dir poco proibitivo sul campo della corazzata Juventus. Ed i pronostici non vengono traditi: 5 a 1 in favore dei bianconeri con gol della bandiera biancoscudato firmato Martegani. La disfatta torinese è un duro colpo per Zanon e compagni, che dopo aver concluso l'andata con una nuova sconfitta esterna patita contro il Napoli ed aver impattato all'Appiani per 2-2 contro il Torino, vengono tramortiti da Lazio prima ed Inter poi rispettivamente per 4-0 e 5-1, ritrovandosi così al quartultimo posto in classifica, con soli due punti di vantaggio rispetto alla zona retrocessione. L'ambiente è in subbuglio, l'ex vicepresidente Tarquinio Zanin, dimessosi a seguito delle dimissioni di Serantoni, chiede pubblicamente le dimissioni da parte di Ferrari, il quale, però, fa orecchie da mercante e la domenica successiva si riscatta ottenendo la sua prima vittoria sulla panchina biancoscudata nel delicato incontro salvezza contro la Roma proprio di... Serantoni, che era tornato in giallorosso in veste di allenatore appena tre settimane dopo aver comunicato le sue dimissioni da tecnico del Padova. Un caso? Non si sa. Ad ogni modo, il successo contro i capitolini (3 a 1, tripletta di Martegani) si rivela un fuoco di paglia ed all' inizio di aprile i biancoscudati occupano ancora il diciassettesimo posto in classifica, a più quattro punti sulla penultima piazza, sinonimo di retrocessione in Serie B. Così, il 7 aprile, arriva a Padova il quarto allenatore stagionale: l'anglo cinese Franck Soo (al secolo Hong Ying Soo). Un vero e proprio carneade per i tifosi e probabilmente anche per lo stesso presidente Cesarin, che si era però fidato ad occhi chiusi delle parole di Sir Stanley Rous in persona, il segretario della Football Association futuro presidente della FIFA, che già a metà febbraio gli aveva consigliato il suo nome, nonostante fosse ancora privo di esperienza poiché si era da poco ritirato dal calcio giocato. Come immaginabile, Soo non conosceva una parola di italiano. Ed era anche un personaggio ben strambo: faceva fare ai giocatori cinquanta giri di campo ad ogni allenamento e proibiva loro di bere anche un solo bicchiere di vino per pranzo. La squadra, come prevedibile, non ci mise molto a “ribellarsi”. Questo il racconto di Gastone Zanon (rilasciato a Gigi Garanzini per il suo libro su Nereo Rocco): “Per Soo esistevano solo acqua, latte e tè. Il vino no. E in ritiro c'era il rito del tè tutti insieme, mentre lui beveva il suo latte. Una volta va così, la seconda i miei compagni mugugnano, la terza entro in cucina e spiego agli inservienti che nelle teiere devono metterci il vino bianco. Naturalmente, versandolo nelle tazze facevamo finta di soffiare per raffreddarlo o di aggiungere zucchero o di spremerci un po' di limone. Quando a fine stagione gli confessai tutto ciò mi tolse il saluto e non mi parlò per due mesi”. Ma il problema vero che si era venuto a creare era quello della lingua. Ed anche in questo caso, Zanon prese in mano la situazione: “Inizialmente Soo ci parlava attraverso l'interprete. Il giorno in cui sbagliai a dire che io l'inglese l'avevo studiato e lo capivo, licenziarono l'interprete per risparmiare e affidarono l'incarico a me. Lui diceva cento parole e io ne traducevo dieci, lui faceva un discorso di qualche minuto e io lo traducevo in venti secondi. Difatti iniziò a trattarmi con un po' di diffidenza”. Ad ogni modo, nonostante queste strane peculiarità del nuovo allenatore, il Padova tornò a racimolare punti preziosi impattando a reti bianche contro Atalanta e Triestina e superando il Como per 3-1 nelle successive tre giornate, trovandosi così, a sei turni dal termine del campionato, a più cinque sulla zona retrocessione. Un buon vantaggio in epoca di due punti a vittoria. La squadra vede ormai la salvezza, ma commette l'errore di sedersi sugli allori, perdendo le successive quattro gare contro Lucchese, Novara, Genoa (ultimo in classifica) e Juventus. Per l'ultima giornata si preannuncia dunque un finale thrilling. Questa la situazione nella parte bassa della classifica a novanta minuti dal termine dei giochi: Lucchese e Triestina 28 punti, Padova e Genoa 27, Roma 26. Inutile sottolinearlo: l'unico risultato utile per avere buone possibilità di rimanere in Serie A è la vittoria. Una vittoria da ottenere all'Appiani contro un Napoli sesto in classifica che non aveva più nulla da chiedere al campionato. E' il momento del riscatto per il Padova dopo quattro sconfitte consecutive. A fine primo tempo, però, il parziale è ancora bloccato sullo 0-0. Un risultato che tuttavia basterebbe per ottenere la salvezza, poiché, nel frattempo, il Genoa perde in casa dell'Inter e la Roma pareggia contro il Milan già Campione d'Italia. Ad ogni modo, per chiudere ogni tipo di discorso, è Martegani a siglare due reti nel corso della ripresa regalando così al Padova la permanenza in massima serie. In B ci finiscono infatti Roma e Genoa. Squadra e città tirano dunque un sospiro di sollievo, rimaste “tra i grandi” nonostante i tre cambi di guida tecnica anche grazie alle reti dei due attaccanti argentini: Curti e Martegani, a segno rispettivamente per 13 ed 11 volte. Purtroppo, però, la retrocessione sarà solamente rimandata di una stagione. Comunque, anche se nessuno poteva ancora saperlo, gli anni d'oro si stavano avvicinando...

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    L'incredibile epilogo della stagione 1994-1995: storia di una salvezza di rigore sotto la pioggia di Firenze
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    19.01.2015 16:48 di Alessandro Vinci
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    Lalas e Nunziata festeggiano

    La cinquantunesima puntata della nostra rubrica amarcord ci porta indietro nel tempo di esattamente vent'anni per rivivere uno dei momenti più felici della storia recente biancoscudata: l'emozionante finale della stagione 1994-1995 (la prima dopo il ritorno in Serie A del Padova), conclusasi con l'indimenticabile spareggio di Firenze contro il Genoa deciso solamente ai calci di rigore. Uno spareggio che, il 14 maggio precedente, nessuno immaginava avrebbe avuto luogo. Quel giorno, infatti, come da pronostico gli uomini di Sandreani avevano avuto la meglio all'Euganeo sulla già retrocessa Reggiana, portandosi così, a sole tre giornate dal termine della regular season, a più sei punti sulla zona retrocessione. Ecco perché, al triplice fischio, all'Euganeo fu festa vera, anche alla luce dell'ottima prestazione dei biancoscudati: 3-0 il finale, con doppietta di bomber Pippo Maniero e gol d'autore di Vlaovic in semirovesciata su traversone del travolgente Franco Gabrieli, protagonista di una discesa da urlo sulla destra. Una rete che i tifosi presenti ricordano ancor oggi non tanto per il gesto tecnico, quanto per la curiosa esultanza del croato, che, dopo essersi sfilato la maglia numero nove, ne scoprì una identica sotto di essa, lanciando poi quella “originale” ai tifosi festanti della Tribuna Est. Un'esultanza curiosa, geniale, unica nel suo genere, a spedire nell'album dei ricordi una giornata a dir poco perfetta, poiché il successo biancoscudato era stato reso ancor più prezioso dai contemporanei passi falsi di Cremonese e, soprattutto, Genoa (le rivali-salvezza del Padova), che avevano fatto registrare rispettivamente un 1-1 sul campo del Torino ed un sonoro 4-0 subìto a domicilio dalla Juventus capolista ed ormai Campione d'Italia. Insomma, così come i bianconeri, anche il Padova si trovava ad un passo dallo scudetto, il suo scudetto: la permanenza in massima serie. Un traguardo che Longhi e compagni stavano raggiungendo con pieno merito dopo una stagione sì complicata, ma allo stesso tempo foriera di grandi soddisfazioni: prima di esse, l'inaspettata vittoria per 2-0 sul Milan di Capello alla sesta giornata, dopo che nei primi cinque turni i biancoscudati avevano raccolto la miseria di un solo punto. Poi però, il successo contro i rossoneri si era ben presto rivelato solamente un fuoco di paglia, ed il girone d'andata aveva continuato a risultare alquanto stentato, pur regalando ai tifosi padovani frammenti di gioia indelebili quali il successo nello scontro-salvezza con il Brescia sotto il diluvio dell'Euganeo del 6 novembre (incredibile rete da metà campo di Maurizio Coppola) oppure la vittoria ottenuta in zona Cesarini al giro di boa contro l'Inter, sempre di fronte ai propri tifosi. Il tutto senza dimenticare anche la tripletta di Damiano Longhi che aveva steso la Cremonese al quindicesimo turno. Poi, il primo colpo esterno stagionale arrivato al San Nicola di Bari il 26 febbraio aveva fatto uscire per la prima volta il Padova dalla zona-retrocessione, cosa che si ripeté, dopo tre nuove sconfitte consecutive, anche il 9 aprile successivo, grazie al 3-1 ottenuto sul campo del Brescia. E da quel momento i biancoscudati avevano iniziato a dormire sonni tranquilli, forti anche di due consecutivi exploit di prestigio quali i successi ottenuti in casa contro la Lazio prima (2-0, autogol di Cravero e rete di Kreek) e sul campo della Juve poi (1-0, a segno ancora l'olandese). Il 3-0 sulla Reggiana sembrava dunque aver ormai chiuso qualsiasi discorso, ma la realtà fu ben diversa.
    Il 21 maggio il Padova tornava per la prima volta dopo il magico spareggio-promozione dell'anno precedente contro il Cesena allo stadio Zini per affrontare la Cremonese padrona di casa, che viaggiava a quota 35 punti, ossia quattro in meno della banda Sandreani. Una vittoria avrebbe significato matematica salvezza per i biancoscudati. Ma i grigiorossi di Gigi Simoni di certo non si sarebbero presentati all'incontro senza il coltello tra i denti, poiché una sconfitta avrebbe significato potenziale sorpasso in classifica di Genoa e Foggia (appaiate a 33 punti) ai loro danni. E' il momento del definitivo colpo di reni verso la salvezza per i biancoscudati. Il problema è che il Padova non scende in campo col piglio giusto, tanto che la Cremonese si ritrova già a metà primo tempo in doppio vantaggio per effetto delle reti di Chiesa e Milanese. Ed a chiudere definitivamente i conti nei minuti finali ci pensò poi Florijancic. 3-0 e tutti a casa. Ma nulla è perduto: nonostante la sconfitta, infatti, il Padova gode ancora di tre punti di vantaggio sulla zona retrocessione, ossia sul Genoa di Claudio Maselli che aveva agevolmente superato a Marassi proprio il Foggia, condannandolo ormai alla retrocessione. E quale squadra è attesa all'Euganeo il 28 maggio, alla penultima di campionato? Ebbene sì, proprio il Grifone. E' il secondo match point per i biancoscudati: se si vince, si resta in A. Se si pareggia, si va ad affrontare l'ultima giornata con tre punti di vantaggio, dunque, mal che vada, ci si giocherebbe la salvezza agli spareggi. Se si perde, invece, si ricomincia a rischiare grosso. A Padova è un pomeriggio torrido. Gli idranti dei vigili del fuoco rinfrescano gli spettatori sugli spalti. Il primo tempo si conclude sullo zero a zero, poi, allo scoccare dell'ora di gioco, ecco la doccia fredda per i tifosi biancoscudati. Una doccia che non rinfresca, anzi... Tutto nasce da un lancio di sessanta metri del compianto Signorini deviato di testa da Skuravy. Palla poi sui piedi di Ruotolo che, pressato dall'uscita di Bonaiuti, fa partire da posizione defilata un insidioso pallonetto che termina in rete, nonostante il tentativo di salvataggio in extremis da parte di Poldo Cuicchi. D'un tratto, le speranze salvezza dei tifosi padovani sembrano svanire. Si torna a soffrire. Per fortuna, i biancoscudati reagiscono prontamente alla rete del vantaggio genoano e già dieci minuti dopo riagguantano il pareggio grazie ad un colpo di testa dell'insospettabile Gabrieli (1 metro e 71 di altezza) su traversone dalla destra di Longhi. Ed il risultato non cambierà più. E' un pareggio che a livello di classifica tutto sommato non va poi così male al Padova, sebbene superato dalla Cremonese vincitrice sul Brescia fanalino di coda. Per salvarsi, infatti, il Genoa può solo vincere in casa contro il Torino e sperare in una sconfitta del Padova sul campo dell'Inter. Uno scenario, quest'ultimo, purtroppo pronosticabile, essendo i nerazzurri ancora in lotta per un posto in Coppa Uefa, traguardo invece sfumato da tempo per il Torino avversario del Genoa, già sicuro di un posto a centro classifica. Ragion per cui, anche se forti di tre punti di vantaggio, Longhi e compagni non possono abbassare la guardia. A San Siro il primo tempo biancoscudato è di spessore e si conclude meritatamente sull'1-0 in favore degli uomini di Sandreani grazie ad un gol di Pippo Maniero, abilissimo a spedire in rete un traversone dalla destra con un plastico tuffo a mezz'aria al minuto numero 20. Nel frattempo, il Genoa conduceva sul Torino per 1-0. L'obiettivo del secondo tempo era dunque quello di difendere il pareggio. Come prevedibile, però, la ripresa si rivelò un assedio interista alla porta di Bonaiuti, che al 65' si lasciò sfuggire dalle mani una conclusione dal limite dell'area di Orlandini, permettendo così ai padroni di casa di pareggiare i conti, ma non di salire al sesto posto, l'ultimo utile in ottica Coppa Uefa. Per cui gli assalti nerazzurri continuarono incessanti (ed a volte finirono per scoprire il fianco alle ripartenze del Padova, una delle quali si concluse con un palo di Coppola), ma la retroguardia biancoscudata resse stoicamente fino al 90'. Ma non fino al triplice fischio di Collina: è il 91', e Ruben Sosa è sulla bandierina per toccare il suo ultimo pallone nerazzurro. Il traversone è da manuale, tagliato sul primo palo. Delvecchio salta più in alto di tutti, anticipando anche Bonaiuti. La deviazione è vincente. Sandreani si accascia sconsolato in panchina, sotto il boato di San Siro. Fontana sfiora il miracolo del 2-2 all'ultimissimo respiro, ma senza successo. L'Inter è in Coppa Uefa. Il Padova allo spareggio contro il Genoa, che intanto aveva mantenuto il gol di vantaggio contro il Torino. E' una nemesi storica per i biancoscudati, che proprio nel girone d'andata avevano avuto la meglio sugli uomini di Ottavio Bianchi negli ultimi minuti di gioco grazie ad una rete di Max Rosa. Una vera beffa. E' il secondo spareggio nel giro di due anni per un Padova definito dagli addetti ai lavori come assolutamente meritevole della salvezza per quanto espresso durante il campionato, ma anche, più nello specifico, nella gara contro i nerazzurri. Amaro nel postpartita il commento del presidente Giordani: “Ormai ci siamo abituati alla logica della sofferenza, non riusciamo a farne a meno. Siamo ancora increduli”. Sì, è proprio incredulità quella che esprime a caldo anche Sandreani: “Purtroppo quando eravamo pronti a festeggiare ci è caduta in testa la mazzata. Abbiamo regalato un angolo all'Inter ed è uscito quel gol incredibile di Delvecchio. Non c'è una spiegazione convincente quando si prende una rete come questa. Non fa parte della logica del calcio. Ma alla delusione siamo allenati. Ci è mancata un po' di malizia. Lo spareggio? Abbiamo l'esperienza e la forza agonistica per gestire la tensione al massimo”. Difficile contraddirlo. Purtroppo però, in vista dell'incontro di Firenze, tra le fila biancoscudate c'è una defezione pesante. Pesantissima. Quella di Pippo Maniero, il capocannoniere della squadra con 9 gol all'attivo, uscito acciaccato dall'incontro di San Siro. Niente paura: a prendere il suo posto ci sarà Nanu Galderisi. Uno che di partite importanti se ne intende. La settimana che precede la battaglia scorre velocemente. Sandreani dichiara che il Padova parte sfavorito (al pari di Romeo Anconetani, storico presidente del Pisa, appena diventato consigliere del Genoa), i giornalisti il contrario. La piazza è in fermento, si prepara una trasferta storica. Ed i numeri saranno impressionanti: la mattina di sabato 10 giugno da Padova si muovono in 11000, divisi tra 85 pullman, due treni speciali ed un interminabile serpentone di auto private. Direzione curva Ferrovia, stadio Artemio Franchi. Il doppio sono invece i genoani, geograficamente più vicini al capoluogo toscano. Ad accogliere le squadre sul terreno di gioco, le coreografie delle rispettive tifoserie ed una pioggia insistente. E' tutto pronto, che la sfida abbia inizio.
    E' il Padova a partire subito a mille, schiacciando i liguri nella propria metà campo e cercando di sbloccare il risultato con i propri terminali offensivi: Galderisi e Vlaovic. Insomma, appare chiaro sin dai primi minuti che non bisognerà attendere molto per assistere al vantaggio biancoscudato. Giusto diciannove minuti: azione imbastita da Galderisi sulla trequarti, palla larga per Kreek, che pennella chirurgicamente per Vlaovic, appostato in area di rigore. E, come contro la Reggiana, fu semirovesciata vincente. Maglietta in testa e via verso il centro del campo, gridando di gioia. 1-0, palla al centro. La prima azione offensiva genoana degna di tal nome si sviluppa invece poco prima della mezz'ora di gioco. E, incredibile a dirsi, porta al gol dell'1-1, con l'ariete Skuravy a trafiggere di testa Bonaiuti su traversone dalla destra di Van' t Schip. E' questo l'unico schema offensivo che impiegano lungo tutto l'arco della partita gli uomini di Maselli, quello che all'indomani Franco Melli, inviato del Corriere della Sera, definirà “lo schema zero, cioè l'unica monocorde ricerca di Skuravy circondato dal trio Franceschetti-Cuicchi-Lalas, comunque temibile se raggiunto con cross dal fondo”. Ma di cross il Padova non ne concederà più, specialmente grazie alle efficaci prestazioni dei due esterni di giornata, Nunziata e, soprattutto, Balleri. Ecco perché, gol a parte, il Genoa non riesce a sfondare, a differenza del Padova, determinato a riportarsi in vantaggio. Per farlo, però, c'è da superare Spagnulo, l'estremo difensore rossoblù. Un portiere partito ad inizio stagione come terzo alle spalle di Tacconi e Micilio, ma che al termine del campionato era riuscito a conquistare la maglia da titolare, complice il ritiro a dicembre dell'ex portiere di Juventus e Nazionale. E' lui a sventare tutte le offensive biancoscudate di lì fino al termine dei supplementari. Nulla da fare per i vari Kreek, Longhi, Galderisi e Vlaovic, che ne provano di ogni fino al 120'. Ma le parate di Spagnulo – guardare per credere – si rivelano una più miracolosa dell'altra. Una prestazione, giusto per rimanere in ambito genoano, degna di quella di Braglia ad Anfield nel '92. Non mancano nemmeno le proteste nei confronti dell'arbitro Ceccarini (lo stesso dello spareggio di Cremona dell'anno precedente) per un rigore non fischiato a Galderisi, spinto a terra in area di rigore da Torrente, e per una rete annullata a Lalas per il medesimo motivo (della serie, la coerenza...). Insomma, è il Padova a meritare di rimanere in Serie A. Ma si deciderà tutto ai calci di rigore, non a caso spesso paragonati ad una lotteria. Il sorteggio è, almeno questo, favorevole ai biancoscudati: la porta sarà quella sotto la Ferrovia. In vista dei tiri dagli undici metri, Sandreani spedisce in campo due specialisti quali Fontana e Perrone al posto rispettivamente di Longhi e Galderisi, un altro che dagli undici metri ci sapeva fare. Non sarebbe stato male vedere anche il suo nome nella lista dei rigoristi. Ad ogni modo, a partire per primo dagli undici metri è il Genoa, con Van' t Schip: battuta impeccabile, palla da un lato, portiere dall'altro. Per rispondere al vantaggio ligure si presenta sul dischetto Fontana. Tiro potente ma poco angolato, Spagnulo respinge. La “maledizione” sembra reggere anche ai calci di rigore. La strada è subito in salita. A peggiorare le cose ci pensa poi Ruotolo, che trasforma il secondo penalty genoano. Il pallone che Cuicchi posiziona sul dischetto per il secondo rigore pesa dunque come un macigno. Ma il buon Poldo non tradisce, angolando con precisione alla destra di Spagnulo, che pure aveva intuito la direzione del tiro. Poi ecco che il vento gira, finalmente: rigore fallito anche dal Genoa con Marcolin, che conclude centralmente, vedendosi respingere la sfera da Batman Bonaiuti con la mano di richiamo. Spetta a Perrone il compito di ristabilire la parità. Detto fatto: palla a sinistra, portiere a destra. L'equilibrio perdura fino al termine della quinta sequenza: Bortolazzi e Skuravy non falliscono per il Genoa, idem Vlaovic e Balleri idem per il Padova. Si va ad oltranza. E' una lotta di nervi. A partire per il sesto rigore ligure è Galante. Professione: difensore centrale. La rincorsa è lunga, così come la falcata. Arrivo sul pallone non ottimale, postura sbilenca. E palla di poco alta sopra la traversa. E' gioia pura per i tifosi ed i giocatori biancoscudati. Per tutti tranne uno: Michel Kreek, l'uomo che avrà l'onere di regalare al Padova la salvezza. Proprio lui, il centrocampista olandese arrivato ad ottobre dall'Ajax che con le sue prestazioni e con i suoi sette gol aveva spostato gli equilibri, risollevando le sorti biancoscudate sin dal giorno dell'esordio. Mentre il tulipano sistema con estrema accuratezza il pallone sul dischetto, la voce di Gildo Fattori tiene con il fiato sospeso i tifosi all'ascolto: “Nessuno ha coraggio di guardare, ma Michel ha dimostrato di essere bravo, implacabile, giocatore straordinario, può regalare al suo primo anno al Padova la Serie A, a questa squadra, a questa società che lo meriterebbe”. Rincorsa lunga. Freddezza da applausi. Spagnulo spiazzato. E' l'apoteosi. E' la seconda impresa biancoscudata nel giro di due anni. Meritatissima. La festa dei tifosi sugli spalti e dei giocatori in campo è incontenibile. Longhi e compagni rimangono praticamente tutti in mutande e canottiera a festeggiare sotto la Ferrovia, spuntano anche una statuetta di Sant'Antonio ed un'altra di una qualche divinità precolombiana, tenute scaramanticamente in panchina durante la partita. Le dichiarazioni del postpartita sono entusiastiche, una in particolare: “E' stata una salvezza sofferta – dice Sandreani – ma proprio per questo ancora più bella. E' stata una partita che rimarrà nella storia della società, giocata benissimo ed interpretata perfettamente. Alla fine c'è stata giustizia, ma ce la siamo dovuta andare a conquistare all'ultimo rigore. Devo ringraziare questi tifosi e questi ragazzi che come me hanno la maglia del Padova come seconda pelle. Sono dei grandi uomini, oltre che grandi giocatori”. Al rientro in città, tutto il Padova è atteso all'Appiani da migliaia di tifosi festanti sulle note di “We are the champions”. Giocatori e dirigenti ringraziano i loro sostenitori e viceversa. E' una serata da brividi, di quelle che vorresti non finissero mai. Una conclusione da sogno per una stagione straordinaria. Una stagione che probabilmente rappresenta l'apice della storia biancoscudata degli ultimi cinquant'anni.

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    Padova,_anni_'90_-_Del_Piero,_Di_Livio

    DeFranceschi-DelPiero-Boscolo

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    da notare il secondo gol- euro gol di vlaovic che segna in sforbiciata si toglie la maglia per buttarla in curvoa e sotto ne aveva un'altra :lol:
     
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    Un campionato stentato e l'avventura in Coppa Esposizione: la prima stagione della storia dell'ACP
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    02.02.2015 15:47 di Alessandro Vinci articolo letto 170 volte


    Fatto il Padova... è tempo di giocare! Non si rivelò tuttavia particolarmente ricca di soddisfazioni la prima stagione della storia dell'“Associazione del Calcio Padova”, affiliata sin dal giorno della fondazione, il 29 gennaio 1910, alla FIGC. Dopo il pareggio a reti bianche maturato il 20 febbraio nell'amichevole dell'esordio assoluto contro il Verona, infatti, per la neonata compagine biancoscudata arrivò già il tempo di affrontare il primo campionato ufficiale, ovverosia la Seconda Categoria (la Serie B dell'epoca, per intenderci) edizione 1910. Un torneo che fu una “Caporetto”: quattro sconfitte (seppur una a tavolino) in altrettante partite per Giorgio Treves de' Bonfili e compagni. Prima di esse, quella patita il 6 marzo in casa del Vicenza per 3 a 1. A segno tra i berici Fasolo, Vallesella e Boeche, mentre la prima marcatura della storia del Padova risultò frutto di un'autorete dello stesso Vallesella. Poi, fu la volta delle due gare andata-ritorno contro la terza ed ultima partecipante al girone, il Venezia. In laguna, il 13 marzo, i padroni di casa la spuntarono senza problemi per 4-1, mentre sette giorni più tardi al Belzoni l'incontro si concluse con un avvincente 2-2 in seguito cancellato per delibera del Giudice Sportivo e tramutato in un 1-0 a vantaggio della formazione neroverde (non sono giunti fino ad oggi né i dati relativi ai marcatori di queste due gare, né le motivazioni del Giudice Sportivo in merito all'invalidazione della gara di ritorno). Infine, proibitivo si rivelò l'ultimo turno contro un Vicenza bisognoso quantomeno di un punto per aggiudicarsi la vittoria del girone (traguardo che comunque non avrebbe comportato la promozione in massima serie). Pur rimediando la terza sconfitta sul campo, il Padova, però, si confermò squadra in crescita, piegato solamente per 1-0 da una rete realizzata da Boeche al 65'. Ma la classifica finale risultò ugualmente desolante, con i biancoscudati che chiusero a secco di punti, staccati di cinque lunghezze dal Venezia e sette dal Vicenza vincitore del raggruppamento. Ed oltre al danno si aggiunse in seguito anche la beffa, con l'ammissione in Prima Categoria di berici e lagunari, causa riforma dei gironi di massima serie. Ma, a prescindere da ciò, appare assolutamente evidente come il primo campionato biancoscudato non si sia stato certo trionfale, essendo stata la società appena fondata e la squadra appena allestita, a differenza di quelle di Vicenza e Venezia, società attive rispettivamente da 1902 e 1907. Il Padova è dunque scusato, ma niente paura: la stagione non terminò qui. Visse infatti una curiosa appendice il successivo 22 maggio nell'ambito della Coppa Esposizione, un torneo organizzato dall'associazione “Ginnastica e Sport” (che festeggiava il suo quarantacinquesimo anno di attività) nel quadro delle iniziative legate alla Fiera dell'Esposizione agricola-industiale di Pontevigodarzere, che aveva preso il via già il 15 aprile precedente. Oltre al torneo calcistico, quella domenica erano state organizzate anche gare di tamburello e di palla vibrata, una disciplina di origini tedesche, oggi ormai in disuso, il cui scopo era quello di spedire un pesante pallone di cuoio oltre la linea di fondo della metà campo avversaria. Insomma, una vera festa dello sport. Al torneo di “foot-ball” (com'era ancora chiamato il calcio a quei tempi) avrebbero dovuto partecipare quattro squadre: Padova, Vicenza, Milan e Fanfulla Lodi, ma quest'ultima diede forfait all'ultimo momento. Si sarebbe quindi disputato un triangolare. A partire con i favori del pronostico, senza ombra di dubbio il Milan, compagine di Prima Categoria che poteva già vantare la conquista di tre scudetti (1901, 1906, 1907). Una prova del fuoco per i biancoscudati, impegnati contro i rossoneri proprio nella prima gara di giornata. Una gara alla quale, però, non assistette un gran numero di spettatori, complici le incerte condizioni climatiche, come sottolineava il Pedrocchino, settimanale dell'epoca: “Il tempo, che sembra da qualche tempo imbronciato e malintenzionato contro tutte le manifestazioni sportive, anche domenica ha voluto impaurire il pubblico e trattenerlo lontano dallo spettacolo, colle sue continue minacce”. Un vero peccato, ma la partita s'ha da giocare, ed i rossoneri non impiegarono molto tempo prima di portarsi in vantaggio, giusto quindici minuti, grazie ad un calcio di punizione del proprio fuoriclasse, la mezz'ala Pietro Lana (passato alla storia sette giorni prima per aver siglato il primo gol della storia della Nazionale italiana nella vittoriosa amichevole di Milano contro la Francia). Ed il raddoppio arrivò soli cinque minuti più tardi. Nuovamente Lana su punizione. Déjà vu. Il risultato non cambierà più fino al triplice fischio. Il Padova se la cava con un dignitoso passivo di 2-0 e riceve il plauso dei cronisti presenti: “Molto brillante e molto applaudita la difesa del Padova” - riportò sempre il Pedrocchino - “in special modo vanno ricordati i due migliori elementi della squadra: Pozzi, l'infaticabile ed elegante calciatore, e Tessari, l'eccellente goal-keeper”. Incredibile: già dagli albori emerge con chiarezza quella che sarà la caratteristica regina degli anni d'oro della società. Questione di DNA. E non a caso lo stemma che comparirà sulle maglie a partire dal 1920 sarà proprio uno scudo. Ad ogni modo, dopo aver affrontato il Milan, ecco subito il fischio d'inizio della gara contro l'ancor fresco Vicenza, che aveva già sconfitto per due volte i biancoscudati nel corso del campionato. Insomma, il pronostico è tutto dalla parte dei berici, il Padova sembra destinato a concludere la propria stagione a secco di vittorie. Invece no. Nonostante la stanchezza, infatti, Giolino Canè porta avanti i suoi al 15' e la prima frazione di gioco si conclude sull'1-0. All'intervallo, capitan (nonché allenatore e presidente) Treves de' Bonfili suona la carica: “Forsa tosi deghe dentro”, parafrasando lo storico inno biancoscudato. Obiettivo numero uno: non subire gol. Yes, we can. E' un Padova stanco ma grintoso quello che si presenta sul terreno di gioco nella ripresa. Ed al 55' ecco arrivare il gol del raddoppio, firmato Vittorio Terrabujo. Vana risulterà la rete vicentina realizzata da Fasolo a dieci minuti da termine. 2-1 il finale in favore dei biancoscudati, capaci di esprimere nel corso della gara “un giuoco energico e corretto”, come commentò il Pedrocchino. Il Padova chiude dunque la sua prima stagione in bellezza. Ed alla fine, per la cronaca, ad aggiudicarsi la Coppa Esposizione fu, come da pronostico, il Milan, che andò a pareggiare a reti bianche contro il Vicenza nell'ultima gara del torneo. In definitiva, dopo un'annata di assestamento, la società biancoscudata sembrava ormai sufficientemente matura per puntare ad un primo significativo salto di qualità. Insorse però un piccolo problema: la fondazione, nel dicembre successivo, del Petrarca. Una società, a differenza del Padova, non ancora iscritta alla FIGC, ma che poteva contare su una solidità economica ed organizzativa di tutt'altro livello, grazie al patrocinio dell'Antonianum. Fattori, questi, che contribuirono in maniera determinante al verificarsi di una fatale diaspora di calciatori biancoscudati verso la nuova realtà bianconera. L'attività del Padova rimase in fase di stasi per due anni e mezzo, fino al 25 novembre 1912, giorno in cui trenta soci “rifondarono” la società, rimettendola così in moto e nominando Gastone Rossi quale nuovo presidente. Chissà senza di loro quale sarebbe stata la sorte del sodalizio biancoscudato...
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    Il factotum Treves de' Bonfili
     
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    1986-1987: il Padova di Adriano Buffoni torna in Serie B
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    16.02.2015 17:18 di Alessandro Vinci

    Quando nel calcio ambizione e voglia di riscatto incontrano qualità tecnica ed il giusto supporto esterno, l'esito non può che essere uno solo: il successo. Questa la ricetta vincente del Padova 1986-1987 presieduto dal neopresidente Marino Puggina, intenzionato a riportare la squadra in Serie B dopo l'ignominiosa retrocessione a tavolino dell'85 ed un anonimo settimo posto ottenuto nel campionato successivo. Per questo, dopo aver preso ufficialmente in mano le redini della società il 20 giugno dell'86 succedendo a Nicolò Voltan, la sua prima operazione fu quella di mettere sotto contratto un allenatore di categoria superiore come il trevigiano Adriano Buffoni, che aveva appena ottenuto un buon ottavo posto in Serie B alla guida del Cesena e che soli tre anni prima aveva riportato in cadetteria la Triestina. Insieme a lui, arrivarono dalla Romagna due dei pezzi pregiati della compagine bianconera: il trentatreenne attaccante Mauro Gibellini (capocannoniere della squadra con 13 gol stagionali realizzati) e – seppur solamente in prestito – la giovane e promettente ala destra Alessandro Bianchi. Altri nomi portati in biancoscudato dal ds Enzo Corni per puntellare l'undici titolare, quelli di Franco Fabbri dal Prato e Stefano Mariani dal Brescia neopromosso in Serie A. Innesti importanti. Innesti per puntare alla promozione. Tra i partenti, invece, una bandiera come Fulvio Fellet, oltre a Roberto Giansanti, Fabrizio Salvatori, Giancarlo Tacchi, Vincenzo Lamia Caputo, Stefano Marchetti ed i giovani Seno e Montrone. Riconfermati con pieno merito invece i vari Benevelli, Donati, Ruffini, Valigi, Da Re, Coppola, Favaro ed anche il giovane Devis Tonini, che si approprierà di una maglia da titolare nella retroguardia biancoscudata. Inutile nascondersi: il Padova vuole la Serie B. La vogliono anche i tifosi, tra cui il primo cittadino Settimo Gottardo il quale, in visita alla squadra ad Asiago a fine luglio, dichiara di aspettarsi la promozione.
    Il Padova, insomma, pensa in grande, ecco perché non esita a programmare per il mese di agosto quattro amichevoli precampionato contro altrettante compagini di Serie A quali Roma, Brescia, Como ed Inter. Ed i risultati non furono per nulla disprezzabili, eccettuando solamente il 3-0 patito contro i giallorossi all'esordio assoluto stagionale: vittoria per 1-0 contro le rondinelle, sconfitta con medesimo punteggio contro i lariani e pareggio a reti bianche con i nerazzurri di Trapattoni di fronte ad oltre 17000 spettatori presenti all'Appiani. E le buone sensazioni riguardo alla qualità complessiva dell'organico biancoscudato trovarono poi ulteriore conferma nel corso del girone eliminatorio di Coppa Italia di Serie C, che il Padova superò agevolmente da imbattuto contro Mestre, Pordenone e Venezia, qualificandosi così ai sedicesimi di finale in programma per il gennaio successivo.
    Le premesse per disputare un campionato di vertice sembravano dunque esserci tutte, non restava che confermarle sul campo. Detto fatto: cinque vittorie nelle prime cinque giornate contro Rimini, Legnano, Rondinella, Spezia e Reggiana, giusto per far capire agli avversari chi comandava. Poi però, dopo aver impattato a reti bianche sul campo del Fano il 26 ottobre, ecco arrivare per gli uomini di Buffoni una flessione di rendimento nel mese di novembre, nonostante gli arrivi di Cupini dal Bari e del giovane Zanin (attuale allenatore dell'Altovicentino) dalla Triestina nel corso del mercato di riparazione: una sola vittoria ottenuta all'Appiani contro la Carrarese a fronte di due pareggi maturati contro SPAL e Virescit Boccaleone e due sconfitte subite a Lucca ed a Piacenza. Un KO che proprio non ci voleva, quest'ultimo, poiché permise ai lupi biancorossi di superare in vetta alla classifica gli stessi biancoscudati, che scivolarono di conseguenza al secondo posto (l'ultimo utile in ottica promozione) in coabitazione con la SPAL. Ma niente paura, giusto sette giorni ed ecco il Padova riappropriarsi del primato superando il Monza all'Appiani grazie ad una rete di Da Re, approfittando così dei contemporanei scivoloni di Piacenza e SPAL rispettivamente a Cento e Reggio Emilia. E da quel giorno i biancoscudati non si fermarono praticamente più fino ad inizio aprile: una sola sconfitta (maturata all'ultima d'andata in casa contro l'Ancona) nelle successive quindici gare di campionato. Per il resto, dieci vittorie e quattro pareggi, per un totale di ben ventiquattro punti. Numeri che parlano chiaro e che catapultano il Padova ad un passo dalla Serie B, senza però riuscire a fargli guadagnare il primo posto in solitaria. A fiancheggiare i biancoscudati in cima alla classifica a quota 41 punti a sette giornate dal termine del campionato c'è infatti il Piacenza di Battista Rota, altra squadra allestita per centrare il salto in cadetteria. La questione-promozione sembrerebbe dunque una formalità per le due capoliste, ma il condizionale non è casuale: a cinque punti di distanza non demorde infatti la Reggiana terza in classifica, pronta ad approfittare dello scontro fratricida al vertice in programma all'Appiani il 18 aprile. Sì, proprio Padova-Piacenza. Una partita che, in caso di vittoria, potrebbe portare gli uomini di Buffoni ad un passo dalla promozione. Per questo il tecnico biancoscudato sceglie di affidarsi ad un ampio turn-over in occasione della gara d'andata della semifinale di Coppa Italia contro il Livorno da giocarsi solamente tre giorni prima del big match. Sì perché intanto, parallelamente ai successi mietuti in campionato, il Padova aveva continuato a stupire anche in Coppa Italia, superando ai sedicesimi il Trento, agli ottavi proprio il Piacenza ed ai quarti il Novara. Tuttavia, anche se la conquista del trofeo era ormai a portata di mano, l'obiettivo numero uno continuava – comprensibilmente – ad essere la promozione. Nessuno si strappò dunque le vesti nel vedere maturare uno scialbo 0-0 nella gara contro gli amaranto, esito certamente non favorevole in vista dell'incontro di ritorno. L'attenzione era infatti già focalizzata sulla sfida contro il Piacenza. Una sfida che, in un Appiani gremito, si mise subito in salita per i biancoscudati, che passarono in svantaggio già dopo cinque giri di lancette in seguito ad una rete di... Roberto Simonetta. Sì, proprio lui. Quello che quattro anni più tardi farà svanire ogni velleità di promozione in Serie A al Padova di Colautti con la maglia della Lucchese. Per fortuna, però, trenta minuti più tardi fu Valigi a ristabilire la parità, facendo rientrare le squadre negli spogliatoi all'intervallo sul punteggio di 1-1. Un risultato che sembrava destinato a perdurare fino al triplice fischio del direttore di gara. Ma all'86' ecco la doccia fredda: decisivo vantaggio biancorosso con Serioli. Il Padova rimane dunque inchiodato a quota 41 e vede la Reggiana portarsi a meno tre dopo aver superato al Mirabello la modesta Carrarese. Tutto è ancora aperto, occorre una reazione. Ma la reazione non arriva. Doppio pari per 1-1 nelle successive due giornate contro Monza prima e Trento poi (gare intervallate dal pesante 3-0 di Livorno che costa l'eliminazione in Coppa Italia) e Reggiana che si porta a meno due. Quattro partite, trecentosessanta minuti al termine del campionato. In barba alla scaramanzia, Buffoni è sicuro: “Il Padova al 99,9 per cento è in Serie B”. Non si può più steccare: o si vince o si vince. Il 17 maggio all'Appiani arriva la Centese, squadra neopromossa rivelazione del campionato già sicura di un piazzamento di centro classifica. “Caro Buffoni, un bel tacer non fu mai scritto”, pensarono sugli spalti i tifosi biancoscudati al minuto numero 35, dopo aver assistito al vantaggio emiliano firmato Vinci. Si dovettero però parzialmente ricredere sette minuti più tardi, quando l'insospettabile Nando Ruffini (autore di sole 4 reti in ben 235 gare di campionato con la maglia del Padova ) riportò il punteggio in parità. Ed infine scoppiarono di gioia nel vedere Valigi realizzare su rigore la rete del 2-1 a sei minuti dal 90'. Una rete pesantissima. Contemporaneamente, infatti, la Reggiana non era riuscita ad andare oltre lo 0-0 contro la Virescit Boccaleone. A tre giornate dal termine dei giochi la situazione di classifica era dunque la seguente: Piacenza in vetta a quota 46, Padova 45 e Reggiana ad inseguire a 42. In caso di vittoria al Martelli di Mantova e contemporanea sconfitta granata a La Spezia il Padova sarebbe approdato dunque in Serie B. La seconda parte del piano va a buon fine: Spezia-Reggiana 1-0. Ma la prima, sfortunatamente, no: Mantova vittorioso per 2-1 e tutto rimandato alla domenica successiva. Domenica 31 maggio. Sotto uno splendido sole primaverile all'Appiani si presenta il Prato di Corrado Orrico, squadra che non aveva più nulla da chiedere al campionato. Nonostante tutto, la promozione è lì, a portata di mano. Per coglierla basta solo una vittoria. Trombette, sciarpe, bandiere, striscioni, coreografie, fumogeni, è un tripudio di passione biancoscudata quello che accoglie le squadre sul terreno di gioco. Risultato? Perentorio 3-0 (autorete di Napolitano e doppietta dagli undici metri di Valigi) ed apoteosi finale. Il Padova torna in Serie B dopo due stagioni, lavando così l'onta di Taranto. A fine gara giocatori ed allenatore vengono pacificamente assaltati dai tifosi biancoscudati scesi sul terreno di gioco a festeggiare la promozione ed a ringraziarli per il traguardo raggiunto. Una volta negli spogliatoi, poi, è la battaglia, o meglio, la guerra del gavettone: nessuno viene risparmiato, nemmeno il presidente Puggina il quale, fradicio, sentenzia rivolgendosi ai calciatori: “Basta! Via tutti, il prossimo anno non giocate più per il Padova!”. Dall'Appiani, la festa si sposta poi per le vie del centro, dove si svolgono cortei e caroselli di automobili che intasano la circolazione. Spunta anche un camion che trasporta un'enorme statua di una gallina che viene osannata lungo tutto il festoso tragitto. L'entusiasmo è alle stelle, tanto che sono in molti a parlare già di Serie A. Con un po' di pazienza e qualche altra delusione nel mezzo, arriverà pure quella.

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    Padova '86-'87

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    1998-1999: quella fatale sostituzione che fece precipitare il Padova in Serie C2...
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    23.02.2015 16:06 di Alessandro Vinci articolo letto 768 volte

    Buia, caotica, desolante, masochistica. Sono molti i modi con cui si potrebbe definire l'avventura del Calcio Padova nel campionato di Serie C1 1998-1999. Un campionato che avrebbe dovuto segnare – almeno stando alle parole del presidente Cesarino Viganò – l'immediato ritorno del Padova in Serie B dopo la retrocessione maturata in cadetteria nella stagione precedente. Una realtà amara, la C1, tanto più se si considera che di fronte agli occhi dei tifosi biancoscudati scorrevano ancora nitide le immagini di un paradiso chiamato Serie A, abbandonato soli due anni prima. Di lì in poi il declino, le contestazioni a Viganò, gli spalti dell'Euganeo sempre più deserti. Last call, ultima chance dunque per il patron brianzolo (rimasto per giunta orfano dei suoi soci, Corrubolo e Fioretti) la stagione '98-'99 per tentare di ricucire con la piazza un rapporto sempre più deteriorato.
    Nonostante la retrocessione, alla guida della squadra venne riconfermato Mario Colautti: esperienza, conoscenza dell'ambiente ed una promozione in Serie B ottenuta appena due stagioni prima alla guida dell'Ancona. Il ds Piero Aggradi (tornato in società nel novembre '97 in sostituzione del dimissionario Altobelli) invece, oltre a mantenere l'ossatura della B formata dai vari Castellazzi, Cristante, Pergolizzi, Ferrigno, Pellizzaro, Suppa, Mazzeo e Saurini, riuscì a puntellarla con innesti di giovani promettenti quali Serao, Campana, Barone e Buscè, che si appropriarono fin da subito di una maglia da titolare. Sulla carta, insomma, il Padova sembrava una compagine competitiva. Ma si sa, nel calcio la carta conta poco. Per assistere alla prima vittoria in campionato, infatti, si dovette attendere fino all'ottavo turno, quando all'Euganeo Fiorio (arrivato ad ottobre dal Treviso), Buscè e Barone stesero il Siena per 3-0. Ma quel giorno in panchina non sedeva Colautti, già esonerato dopo la quarta giornata dato il magro ruolino di tre pareggi ed una sconfitta. Al suo posto a bordo campo c'era infatti Claudio Ottoni, ex capitano di fine anni '80 ed inizio '90, promosso dalle giovanili ad allenatore della prima squadra. Deludente anche l'esordio del nuovo tecnico, subito KO sul campo dell'Alzano Virescit. Poi, due pareggi per 1-1 contro Cittadella (primo derby della storia con i granata) e SPAL ed infine, finalmente, la vittoria contro il Siena. Una salutare boccata d'ossigeno per la complicata classifica biancoscudata. Ma non fu vera gloria, anzi, il successo mietuto contro i toscani si rivelò già dalla settimana seguente niente più che un fuoco di paglia. I successivi due turni coincisero infatti con altrettante sconfitte patite contro Modena e Como, seguite poi da un pareggio per 1-1 nel delicato scontro-salvezza di Varese. Eh sì, ormai sarebbe stato questo l'obiettivo stagionale, dati i risultati di inizio campionato. Nonostante gli ultimi acquisti operati in sede di mercato da Aggradi (D'Aloisio, il già citato Fiorio ed il cavallo di ritorno Franco Gabrieli), infatti, dopo le prime undici giornate il Padova occupava solamente il terzultimo posto, in piena zona playout. Occorreva una scossa. Per questo, il sempre più vituperato Viganò si mise alla ricerca di un nuovo tecnico. Poco importa dunque che Ottoni fosse riuscito ad ottenere il secondo successo stagionale la settimana successiva contro il Lumezzane. Ad inizio dicembre, infatti, ecco tornare all'ombra del Santo un nome molto apprezzato dalla tifoseria quale Adriano Fedele, l'allenatore dell'insperata salvezza in Serie B nel '97. Risultati altalenanti per il Padova nelle ultime gare del girone d'andata sotto la terza guida tecnica stagionale: sconfitte esterne contro Livorno, Carrarese e Lecco intervallate da preziosi successi interni su Arezzo e Carpi. Al giro di boa la situazione nei piani bassi della graduatoria era dunque la seguente: Carpi lanterne rouge ormai già condannato alla retrocessione diretta con soli 6 punti in cascina, mentre zona playout composta da Siena a quota 12, Carrarese a 17 e da Padova e Lecco a 18, ad una sola lunghezza dal Lumezzane tredicesimo in classifica (dunque potenzialmente salvo) e – curiosità – staccate di appena sei punti dalla zona playoff, essendo la classifica estremamente corta. Insomma, nulla era ancora perduto in ottica salvezza, ma occorreva cambiare registro il prima possibile per evitare di passare sotto le forche caudine dei playout a fine stagione. Ma la svolta sembrò non voler proprio arrivare: fu solo 1-1 all'Euganeo contro la Pistoiese nella prima gara del girone di ritorno. Di fronte allo spettro di una nuova retrocessione, Viganò optò quindi per un altro cambio in seno alla società congedando Aggradi ed assumendo come nuovo ds Gianni Di Marzio, già allenatore del Padova in Serie B nella stagione '84-'85. A sole due settimane dal termine del calciomercato e dopo aver letteralmente ricevuto carta bianca da Viganò, il napoletano non rimase certo con le mani in mano, portando in biancoscudato il gioiellino scuola Milan Roberto De Zerbi e l'estroso attaccante veneziano Stefano Polesel, cedendo invece a sorpresa due elementi considerati inamovibili nell'undici titolare di Fedele quali Castellazzi e Spagnolli. Furono operazioni azzeccate? La parola al campo: nelle ultime tre gare di gennaio, prime due vittorie esterne del campionato ottenute a Brescello ed a Saronno rispettivamente per 2-0 e 3-0 e pari interno contro il Montevarchi con conseguente uscita dalla zona playout per la prima volta in stagione. I tifosi tirarono un sospiro di sollievo, il peggio sembrava ormai alle spalle. Ed a corroborare questa sensazione ci pensarono i due successivi pareggi ottenuti contro l'Alzano capolista (gara giocata in diretta RAI in un inedito lunedì sera) e sul difficile campo del Cittadella. Poi però, l'interruttore si spense di nuovo. Un solo punto ottenuto nelle successive quattro giornate contro SPAL, Siena, Modena e Como e mesto ritorno in zona playout. Fortunatamente però, almeno il calendario sembrò sorridere agli uomini di Fedele: sabato 3 aprile, alla vigilia di Pasqua, nell'ambito del ventiduesimo turno era infatti in programma all'Euganeo lo scontro salvezza contro il modesto Varese, appaiato in classifica ai biancoscudati a quota 29. Una gara da sei punti. Una gara da vincere a tutti i costi. Come da pronostico, fu il Padova a passare in vantaggio nel corso del primo tempo con Barone, raddoppiando poi nella ripresa con Saurini. Davvero poca cosa il Varese, gara ormai in cassaforte. E qui accadde l'impensabile. L'episodio che ha fatto passare alla storia – purtroppo in negativo – la stagione 1998-1999: la famigerata sostituzione di Simone Barone. Ebbene sì. Pur conoscendo la norma secondo la quale per regolamento in ogni squadra di Serie C1 doveva essere presente sul terreno di gioco almeno un giocatore under 21 (dunque nato al massimo nel 1978), mister Adriano Fedele (ottimamente coadiuvato dal proprio staff) cosa fece? Puntualmente, a tre minuti dal 90', sostituì l'unico '78 in campo tra le fila biancoscudate con un elemento più anziano come Luca Landonio. Il verdetto della Federazione fu insindacabile: 2-0 “capovolto” a tavolino in favore del Varese e Padova dunque sempre più invischiato nei bassifondi della classifica. Sulla vicenda di quella maledetta sostituzione è tornato nel 2009 l'allora ds Di Marzio: “Non mi è ancora chiaro che cosa spinse Fedele a compiere quella sostituzione, - raccontò per il libro “Biancoscudo” - pur conoscendo perfettamente il regolamento vigente. Ancora mi chiedo se dietro a quell'azione da parte di Fedele ci fosse magari qualche ripicca o qualche divergenza di vedute con altri dirigenti. In quel campionato di C1 ho assistito a situazioni davvero strane”. Ad ogni modo, nonostante l'accaduto, Fedele venne riconfermato alla guida della squadra: “Ne abbiamo già cambiati due, sarebbe assurdo continuare con questa politica quando mancano appena sei giornate alla fine del campionato”, dichiarò Viganò qualche giorno dopo il fattaccio. “Più volte Fedele mi ha telefonato per manifestare il suo rammarico e chiedere scusa. Si è trattato di un errore gravissimo, ma che comunque va archiviato in fretta perché bisogna pensare alle prossime partite”. L'assurda sconfitta dell'Euganeo fu un duro colpo per l'ambiente, ed in molti si rassegnarono all'idea di dover affrontare i playout. Una realtà sempre più vicina di domenica in domenica per i biancoscudati, capaci di racimolare solo due punti nel corso dei successivi tre turni. A tre giornate dal termine dei giochi, il destino degli uomini di Fedele pareva ormai segnato. D'altra parte, la classifica parlava chiaro: Padova terzultimo ex aequo con il Saronno a quota 31, staccato di ben cinque lunghezze dal potenzialmente salvo... Varese. Ma chi è causa del suo mal pianga se stesso, recita il proverbio. Inaspettatamente però, così come si era spento a fine febbraio, l'interruttore dei risultati si riaccese all'improvviso: successo interno su una Carrarese già certa di un piazzamento di metà classifica (1-0 il finale, rete di Saurini su calcio di rigore) ed agevole exploit esterno per 3-0 contro il già matematicamente retrocesso Carpi. Ad una giornata dal termine, il Padova si ritrova quindi incredibilmente ancora in corsa per la salvezza diretta, appaiato a quota 37 punti al Varese. L'obiettivo degli ultimi novanta minuti dal campionato è dunque presto detto: ottenere almeno un punto in più dei lombardi. Eventualità non certo utopistica: il Padova infatti avrebbe dovuto ospitare all'Euganeo il Lecco, già certo del penultimo posto, mentre il Varese una SPAL in pieno sprint-playoff. Come andò a finire? I biancoscudati fecero il proprio dovere: 2-0 in scioltezza sui blucelesti. Purtroppo però, ottenne i tre punti anche il Varese, che vinse di misura per 1-0 sulla SPAL grazie ad una rete di Severino ed ebbe la fortuna di vedere lo spallino Cancellato fallire il rigore dell'1-1 nel cuore del secondo tempo. Il verdetto finale ha l'amaro sapore della beffa: Padova ai playout solamente in virtù della peggiore classifica avulsa nei confronti del Varese e del Livorno (altra squadra che chiuse a quota 40), già salvo con una giornata d'anticipo. Tutta colpa di quella maledetta sostituzione, pensarono a ragion veduta i tifosi biancoscudati. Inutile però piangere sul latte versato, anzi, occorreva guardare il bicchiere mezzo pieno: in quanto squadra miglior classificata nella griglia dei playout, il Padova avrebbe dovuto giocarsi la salvezza proprio contro l'appena sconfitto Lecco, che aveva chiuso il campionato in penultima posizione, a ben tredici lunghezze di distanza dai biancoscudati. Gara d'andata in programma in riva al Lago di Como il 30 maggio: trascinati da oltre 1000 tifosi al seguito, gli uomini di Fedele riuscirono a strappare un buon pareggio per 1-1 (rete di Barone), che fece ben sperare in vista del ritorno. Per ottenere la salvezza, infatti, sarebbero stati sufficienti due risultati su tre. Ma all'Euganeo, quel 6 giugno 1999, fu tragedia calcistica. Lecco vincitore di misura per 1-0 grazie ad una rete siglata agli sgoccioli della prima frazione da Bertolini. Infruttuosi si rivelarono gli assalti biancoscudati alla porta avversaria nella ripresa. Al termine di una stagione assurda ed a tratti farsesca il Padova retrocesse quindi in Serie C2 dopo diciotto anni, uno scenario impensabile ad inizio campionato. D'altra parte, l'avevamo detto che la carta contava poco...

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    Fedele e Barone
     
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    1992-1993: quella Serie A che sfugge sempre al fotofinish...
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    02.03.2015 22:44 di Alessandro Vinci

    Tutto si può dire eccetto che negli anni '90 i tifosi biancoscudati si siano annoiati. Nel bene e nel male. Ogni anno, in ogni categoria, un obiettivo da raggiungere, mille colpi di scena e finali thrilling per cuori forti. Non sempre a lieto fine. E' questo il caso, ad esempio, della stagione '92-'93, che il Padova disputò in Serie B dopo essersi salvato al fotofinish nel campionato precedente sotto la guida di Mauro Sandreani, subentrato da vice-allenatore al proprio “superiore” Bruno Mazzia a sette giornate dal termine del torneo. In vista della nuova stagione, però, sorse subito un problema non di poco conto: per allenare in cadetteria occorreva possedere il patentino di prima categoria. Ed il giovane – e riconfermatissimo – Sandreani (classe '54) ne era sprovvisto. Occorreva un prestanome. Il profilo giusto venne presto individuato in Gino Stacchini, ex bandiera juventina anni '50 e '60, ricordato dalle parti dell'Appiani per aver siglato la rete dell'1-1 nella sfida contro i bianconeri del 23 febbraio 1958, gara che fece svanire ogni velleità tricolore per i panzer di Nereo Rocco proprio a favore della Vecchia Signora. Superato lo scoglio-allenatore, ci si poté dunque concentrare sull'allestimento della squadra. Obiettivo stagionale: una salvezza tranquilla, senza comunque precludersi traguardi più ambiziosi. D'altra parte, la Serie A era già stata sfiorata al termine della stagione '90-'91. L'imperativo del ds Piero Aggradi fu dunque quello di rinforzare la rosa, senza però stravolgerla. Per questo venne mantenuta invariata la già rodata ossatura formata dagli ormai biancoscudati di lungo corso Rosa, Ottoni, Longhi, Di Livio, Nunziata, Ruffini, Galderisi e Montrone. Porte girevoli invece in difesa, dove salutarono Davide Lucarelli e Francesco Zanoncelli per fare posto a Poldo Cuicchi e Franco Gabrieli, mentre furono pochi i mutamenti dalla cintola in su, con la sola cessione in prestito di Putelli al Messina e l'acquisto dal Palermo di Giacomo Modica per rimpolpare il centrocampo.
    Sulla carta, la squadra appariva ben attrezzata e ben equilibrata in ogni reparto. Se ci aggiungiamo poi il tocco taumaturgico di mister Sandreani, ecco i biancoscudati assestarsi stabilmente sin dalle prime fasi del campionato nella parte sinistra della classifica: sei punti nelle prime cinque giornate, frutto di due pareggi a reti bianche maturati contro Cosenza e Monza e delle ottime vittorie ottenute all'Appiani su Modena (5-2 il finale, doppietta di Montrone e reti di Gabrieli, Di Livio e Galderisi) e Verona (3-2, doppietta di Galderisi e rete di Montrone). Insomma, sin da subito fu chiaro che sull'impianto di via Carducci si poteva fare sicuro affidamento. Non a caso, infatti, proprio lì, di fronte al pubblico amico, Galderisi e compagni conquistarono ben 15 dei 20 punti con cui il Padova si presentò al giro di boa. 20 punti sinonimo di ottavo posto ex aequo con Verona e Bari, a meno quattro dal Cosenza quarto in classifica, dunque potenzialmente promosso in Serie A. Con la salvezza già ampiamente in tasca, l'obiettivo della seconda metà del campionato sarebbe dunque stato l'assalto alla promozione, senza nulla da perdere. Ma sarebbe stato necessario migliorare il rendimento esterno. Detto fatto: prima gara di ritorno ed inaspettato exploit di misura proprio sul campo del Cosenza (1-0, gol di Di Livio), poi però seguito da un 1-1 interno contro la Cremonese seconda in classifica e da un 2-0 subìto sul campo del Modena. Nulla però era ancora perduto, figurarsi. Anche perché il quarto posto era ancora lì, a portata di mano. “Per raggiungerlo basterebbe mettere in fila qualche risultato positivo”, si mormora in spogliatoio. E questa volta, tra il dire e il fare non ci fu di mezzo il mare: nelle successive giornate, sei risultati utili consecutivi (quattro vittorie su Monza, Lecce, Bologna e Fidelis Andria e due pareggi contro Verona e Piacenza) da parte dei biancoscudati, per un totale di ben dieci punti. Sfortunatamente, però, altrettanto bene fecero le avversarie, impedendo così agli uomini di Sandreani di portarsi in zona-promozione, seppur a quel punto per due sole lunghezze. Ma di turni da disputare ne rimanevano ancora dieci, il primo dei quali in casa del Pisa, squadra di metà classifica. Una vittoria avrebbe potuto significare aggancio al quarto posto, risultati delle concorrenti permettendo. Invece Galderisi e compagni incapparono in quella che si rivelerà essere l'ultima sconfitta del campionato (1-0, rete di Cristallini). Ebbene sì, avete letto bene: solamente un incidente di percorso l'incontro dell'Arena Garibaldi, poiché nei successivi sette turni il Padova tornò prepotentemente alla carica collezionando quattro vittorie (su Ternana, Venezia, SPAL e Taranto) e tre pareggi (contro Cesena, Bari e Reggiana), portandosi così, a sole due giornate dal termine dei giochi, al tanto agognato quarto posto per la prima volta in stagione a quota 44 punti, a pari merito con Lecce e Ascoli. La Serie A era vicina. Molto. Rimaneva solo (si fa per dire) da ottenere bottino pieno sul campo della Lucchese prima, ed in casa contro l'Ascoli poi, per il più classico degli scontri diretti.
    I tifosi biancoscudati già tremavano al pensiero di tornare al Porta Elisa per una gara di fine stagione, ben ricordando ciò che era accaduto solamente due anni prima. Anche la situazione di classifica era più o meno la medesima, con il Padova in lotta per la Serie A e la Lucchese già certa della salvezza. Per fortuna, però, Simonetta, il giustiziere del '91, non indossava più quella maglia. Come mai? Semplice, nel corso del mercato di riparazione dell'ottobre precedente era passato nientemeno che... al Padova. Incredibili gli intrecci del calcio: chi fu a sbloccare il punteggio in favore degli uomini di Sandreani quel 6 giugno 1993? Proprio Simonetta, alla sua sesta marcatura biancoscudata, al minuto numero trentatré. Purtroppo però, nel frattempo, erano passate in vantaggio anche Lecce ed Ascoli, rispettivamente impegnate contro Bologna e Cesena. Ma l'importante per il Padova era in ogni caso conservare il vantaggio. Un vantaggio che perdurò fino agli ultimi minuti di gioco. Ormai era fatta. Invece no. Nessuno aveva ancora fatto i conti con Roberto Paci, l'altro marcatore toscano del 91', che proprio allo scoccare del 90' mise a segno su calcio di rigore la rete del definitivo 1-1, tra l'altro in contemporanea con la marcatura di Alessandro Morello che regalò la vittoria al Lecce sul campo del Bologna per 3-2. La beffa era servita. A novanta minuti dal termine del campionato, la situazione nei piani alti della graduatoria vedeva quindi la Reggiana e la Cremonese già certe della Serie A rispettivamente a quota 53 e 49 punti, seguite dal terzetto formato da Piacenza, Lecce ed Ascoli a 46 ed il Padova a rincorrere in sesta posizione a quota 45. Per centrare la promozione in massima serie o quantomeno approdare agli spareggi la strada era dunque una sola: avere la meglio sull'Ascoli e sperare in una mancata vittoria di Lecce o Piacenza rispettivamente impegnate in casa contro la Lucchese e sul campo del Cosenza, altra squadra senza più nulla da chiedere al campionato. La situazione non era dunque delle migliori per il Padova, ma c'era un dettaglio che lasciava ben sperare i tifosi in ottica promozione: il giorno designato per la disputa dell'ultima, cruciale giornata, non era un giorno qualunque. Era il 13 giugno, Sant'Antonio. Ad accogliere sul terreno di gioco Padova ed Ascoli, un Appiani sold out (314 milioni di lire l'incasso) ed un tripudio di bandiere e vessilli biancoscudati. Purtroppo però, tra le fila dei bianconeri c'era un giocatore non facile da intimidire: è il teutonico Oliver Bierhoff, che già al 2' sblocca le marcature con una pregevolissima conclusione al volo dal limite dell'area, replicando poi in bello stile, esattamente mezz'ora più tardi, quando trafigge Bonaiuti dopo aver eluso con eleganza una disperata scivolata di Franceschetti. Il tutto mentre il Lecce era avanti 1-0 al Via del Mare sulla Lucchese (sempre più vituperata dai tifosi biancoscudati) ed il Piacenza impattava ancora per 0-0 contro il Cosenza. L'Appiani cade nello sconforto. Occorre una scossa. E qui, evidentemente, interviene il Santo: giusto il tempo di rimettere il pallone al centro del campo ed il Padova si guadagna con Di Livio un calcio di punizione dai venti metri. Ad incaricarsi della battuta è Simonetta. Palla calciata violentemente, traiettoria ad effetto. Lo stadio trattiene il fiato, poi gioisce: 2-1. Ed il vento gira: di lì in poi, è il Padova a spingere sempre più sull'acceleratore alla ricerca del gol del pareggio, ma l'Ascoli è un osso duro, cerca di reggere con tutte le forze per rimanere in zona-promozione. Poi però, a dieci minuti dal termine, ecco la fiammata che cambia volto alla partita: insistita azione biancoscudata nei pressi dell'area di rigore ascolana, tocco largo di Galderisi in direzione dell'accorrente Gabrieli e diagonale perfetto con palla in buca d'angolo. E' 2-2. Un risultato che però non sarebbe servito a nessuno, poiché nel frattempo il Lecce stava ancora conducendo sulla Lucchese per 2-1, al pari del Piacenza, in vantaggio 1-0 sul Cosenza grazie ad una rete realizzata nei primi minuti del secondo tempo da Fulvio Simonini, vecchia conoscenza biancoscudata. Gli schemi saltano totalmente, l'Ascoli si riversa in avanti rendendosi pericoloso con una violenta capocciata di Bierhoff, ma “Batman” Bonaiuti vola sulla traversa e spedisce provvidenzialmente in corner. Poi, all'89', la rimonta biancoscudata si concretizza grazie a Montrone, che in tuffo aereo insacca da pochi passi la rete del 3-2 sugli sviluppi di un calcio d'angolo. L'Appiani esplode di gioia, ma rimanendo allo stesso tempo con le orecchie incollate alle radioline in attesa di buone notizie da Lecce o da Cosenza. Ma l'attesa sarà vana. In Serie A ci vanno Lecce e Piacenza.
    Dura farsene una ragione, per la seconda volta nel giro di tre stagioni il Padova vede sfumare la promozione all'ultima giornata. L'emblema della sconforto biancoscudato è il volto di Angelo Di Livio, che ai microfoni RAI nel postpartita dichiara con gli occhi lucidi: “Quella di oggi è una delusione ancora più grande di quella di due anni fa. Ci dispiace veramente, abbiamo fatto tutto il possibile per raggiungere questa benedetta Serie A, ma ancora una volta non ce l'abbiamo fatta. Mandiamo giù questo boccone veramente amaro, non ho nemmeno la forza di parlare perché mi viene da piangere”. Uomo vero, il soldatino, che l'estate seguente raggiungerà con pieno merito il calcio dei grandi accasandosi alla Juventus al pari di un altro elemento di quel Padova '92-'93: il diciottenne Alex Del Piero (10 presenze ed una rete per lui in stagione). Ma niente paura: l'anno successivo arriverà il momento del grande salto anche per la truppa biancoscudata. Finalmente.

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    Padova-Ascoli, bolgia Appiani

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    Alessandro Cartini e "Maci" Ossari, due amici con il Biancoscudo nel cuore accomunati da un triste destino
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    09.03.2015 21:11 di Alessandro Vinci

    Erano amici, Alessandro Cartini e Massimiliano Ossari. Si conoscevano sin da ragazzini, quando entrambi rincorrevano un pallone nelle giovanili del Padova sognando di calcare un giorno i più prestigiosi palcoscenici del calcio italiano. Una speranza comune, una carriera comune, ma anche un destino comune. Ingiusto. Come tutte le morti premature. Storie simili ma anche differenti, le loro. Storie da ricordare sempre con rispetto e compassione.
    Il più grande dei due era Cartini, nato a Marghera nel luglio del 1974. A portarlo a Padova era stato nell'88 Loris Fincato, responsabile del settore giovanile biancoscudato, che lo scoprì all'età di quattordici anni con la maglia del “Villaggio dei Fiori” (una squadretta di Spinea), aggregandolo poi a quella fortunata nidiata che comprendeva anche un paio di suoi illustri coetanei quali Ivone De Franceschi ed Alex Del Piero. Mica gente qualunque. Ed infatti i risultati non faticarono ad arrivare, in primis l'ottimo quarto posto ottenuto nel torneo di Viareggio del '93 vinto dall'Atalanta di Cesare Prandelli. L'anno successivo, poi, ecco Cartini venire stabilmente aggregato alla prima squadra, a quel Padova edizione '93-'94 che conquistò la promozione in Serie A, senza però mai provare l'emozione dell'esordio. Ma il ragazzo prometteva bene, rappresentava un patrimonio che la società non voleva lasciarsi sfuggire, per cui nell'estate del '94 venne ceduto in prestito in Serie C1 al Casarano di Maurizio Viscidi, suo allenatore ai tempi degli Allievi. Due furono le stagioni che Alessandro trascorse in Puglia, totalizzando complessivamente 47 presenze (con un gol), per poi riavvicinarsi a casa passando, sempre in prestito, al Giorgione, in Serie C2. E fu proprio lì, nell'estate del '97, che ritrovò il suo vecchio compagno di giovanili Massimiliano Ossari, di tre anni più giovane, essendo nato nel '77. Lui sì, invece, che era riuscito ad esordire in prima squadra. Ed addirittura in Serie A, nella stagione '95-'96. Due presenze da subentrato per un totale di ventiquattro minuti per “Maci” (questo il suo storico soprannome): i primi quattordici accumulati all'antivigilia di Natale nello scontro interno contro il Piacenza, gli ultimi dieci invece poco più di un mese più tardi, sempre all'Euganeo, contro il Napoli, dopo aver preso il posto di Max Rosa, che di lui a fine stagione dirà: “Dei giovani Ossari è indubbiamente quello che si applica di più. Segue con attenzione i nostri movimenti, chiede consigli e spiegazioni. Insomma, la volontà per fare strada è quella giusta”. Niente male per un diciottenne, per giunta padovano (di Cartura, ma nato nella vicina Conselve), che probabilmente sarebbe sceso in campo anche in altre occasioni in massima serie, se solo non fosse stato per una fastidiosa infiammazione alle ginocchia che lo colpì negli ultimi mesi della stagione. Poi, anche nel suo caso, la società optò per il prestito in C1, al Novara. Quindici presenze in maglia azzurra nella stagione '96-'97, ed in seguito – come anticipato – il ritorno in Veneto, al Giorgione, a fare coppia fissa nella retroguardia rossostellata con Cartini. Maci al centro, Alessandro a spingere sulla sinistra. Ed a fine stagione fu salvezza ai playout, strano ma vero per la settima difesa del campionato. Insomma, Cartini ed Ossari ci sapevano fare. Nell'estate del '98 ecco dunque la grande occasione della loro carriera: il ritorno all'ovile di un Padova nel frattempo scivolato in C1. Ma una volta nuovamente indossata la maglia biancoscudata, non impiegarono molto tempo per rendersi conto che la stagione non sarebbe stata come se l'aspettavano: alla fine fu retrocessione in C2, dopo la sconfitta ai playout contro il Lecco. Nonostante ciò, però, Cartini ed Ossari (che nel corso del campionato avevano rispettivamente totalizzato 19 e 17 presenze) non abbandonarono la nave. Tutt'altro. Ma l'annata 1999-2000 risultò essere l'ultima con la maglia del Padova per Alessandro, che si accomiatò dal Biancoscudo realizzando tre reti nel corso della stagione: una in Coppa Italia di Serie C sul campo della Triestina, le altre due in campionato ai danni di Sora e Sassuolo. Poi la cessione in C1 (particolare non da poco) al Giulianova, complice anche il roboante arrivo sulla sua zona di competenza di Felice Centofanti, portato in biancoscudato dal neopresidente Mazzocco per restituire un briciolo di entusiasmo ad una piazza avvilita da anni di interminabili sventure sportive. E da lì, il declino. Metà campionato in Abruzzo, poi il prestito semestrale alla Fidelis Andria e la stagione successiva il passaggio in C2 alla Poggese, dove finì per giunta fuori rosa a causa di incomprensioni con il presidente della squadra, Everardo Trazzi. Ma ci piace immaginare che a tirarlo su di morale ci abbia pensato uno dei suoi nuovi compagni: Maci. Eh sì, proprio lui. Nuovamente al suo fianco, dopo essere stato ceduto dal Padova alla Cremonese (con la cui maglia siglò l'unico gol della sua carriera) nel gennaio del 2001 e nell'estate successiva proprio alla Poggese. A gennaio 2002, poi, una nuova separazione delle loro strade. L'ultima.
    Ossari passa – sempre in C2 – al Thiene. Obiettivo di fine stagione: evitare la retrocessione. Compito portato a termine con tranquillità a due giornate dalla fine del campionato, dopo aver impattato per 0-0 sul campo del Sassuolo il 21 aprile. E' un gran traguardo per una piccola squadra di provincia. Festeggiare è d'obbligo. Tanto meglio la sera stessa, poco importa dunque se qualcuno risente ancora delle fatiche del pomeriggio. Ma la stanchezza, a Maci, risultò fatale. Nel ritornare di notte a casa, a Cartura, un colpo di sonno in autostrada, il tamponamento ad un camion, ed il successivo, violentissimo impatto della sua Mercedes contro il guard rail centrale. Maci scompare a soli ventiquattro anni. La notizia sconvolge tutti. Sconvolge i tifosi del Padova, che la domenica successiva a La Spezia intonano cori ed espongono striscioni in suo onore. Sconvolge la dirigenza biancoscudata ed i suoi ex compagni che si adoperano sin da subito per organizzare un'amichevole benefica post stagionale in sua memoria contro il Thiene. Sconvolge anche il suo caro amico Cartini, che l'estate successiva sceglie di retrocedere addirittura in Eccellenza accettando la proposta del suo vecchio allenatore ai tempi del Giorgione Gigi Capuzzo accasandosi allo Schio. Ma non era quello il calcio che Alessandro sognava da ragazzino. Non era quella la vita che voleva. Tutto emergerà con chiarezza alla fine dell'agosto del 2003. Che qualcosa in lui non andasse, se ne erano già resi conto ad inizio mese i dirigenti dello Schio, quando comunicò loro la sua intenzione di non presentarsi al ritiro precampionato della squadra, cosa che puntualmente avvenne. Poi, nella notte tra il 29 ed il 30 agosto, il fulmine a ciel sereno: il suicidio. Come il padre quando lui era ancora ragazzino. Scelta meditata da tempo. Scelta studiata nei minimi particolari, ma mai esternata, tanto che anche dopo l'autopsia i familiari continuarono a credere si fosse trattato di omicidio. Eh sì, nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Tanto più dopo averlo visto passare una serata di svago al Bingo con gli amici. Invece no. Cartini dentro di sé covava una terribile depressione. Una carriera ormai giunta al capolinea, senza più alcuna speranza di risalita a ventinove anni. Una figlia di cinque anni, alla quale indirizzava lettere tristi e malinconiche, avuta da una ragazza mai sposata e con la quale non conviveva più da tempo. La mancanza di una sistemazione stabile, costretto dagli eventi a trasferirsi ad Eraclea, ospite della sorella e del cognato. O forse c'era anche dell'altro, compresa la scomparsa del suo amico Maci. Insomma, il mondo – come si suol dire – gli era proprio cascato addosso. In maniera insopportabile. Ecco allora il tragico piano, lucidamente messo in pratica: impiccagione ad uno degli alberi della piazza di Eraclea, dopo essersi legato le mani con una delle cinture di sicurezza della sua auto per evitare ripensamenti dell'ultimo istante. Incredulità generale nell'apprendere la notizia da parte di tutti coloro che lo avevano conosciuto. Dopo sedici mesi dall'incidente di Maci, anche Alessandro lascia dunque i suoi cari. Ma, a differenza di Ossari, lo fa con animo triste e disperato, non con il sorriso di una festa salvezza.
    Per chiudere questo loro ricordo, ci affidiamo alle parole riportate sul libro “Biancoscudo” da due persone che Alessandro e Maci li conoscevano bene. Così De Franceschi ricorda Cartini: “Era un ragazzo promettente, tanto da raggiungere la prima squadra in giovane età. Era solare, sempre sorridente, pieno di voglia di emergere e di realizzarsi nella vita. Di lui sono ancora vivi in me ricordi di un ragazzo sensibile.f Ecco, questo era forse il suo limite caratteriale, una fragilità nascosta. Dopo un errore o in un momento negativo aveva bisogno di una carezza, di una pacca sulla spalla, di un incoraggiamento. Non so spiegarmi cosa possa essere scattato in lui per aver compiuto un gesto quale il suicidio, la sua scomparsa mi ha scosso”. Questa invece la testimonianza di Carlo Sabatini su Ossari: “L'ho allenato nei Giovanissimi e negli Allievi nazionali. E' stato due anni con me, poi ne ho seguito direttamente l'ascesa in prima squadra. Educazione, volontà, determinazione nel fare le cose: Maci era tutto questo, un ragazzo d'oro. Impossibile trovargli un difetto, ricordo di non averlo mai rimproverato: semplicemente, non dava modo nemmeno di alzare la voce con lui. La nostalgia di questo ragazzo è ancora troppo viva per non fare male”.

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    Il Padova prima del... Padova: la preistoria biancoscudata
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    16.03.2015 20:15 di Alessandro Vinci
    Preistoria: anche per il Padova ne esiste una. D'altra parte, la fondazione di una società calcistica non nasce dal nulla. Tutt'altro. Nel caso di quella biancoscudata, datata 1910, tutto inizia infatti sin dal lontano 1899, anno in cui Tullio Angeli tornò nella sua Padova da un lungo soggiorno svizzero con una sfera di cuoio sottobraccio: il primo pallone da calcio della nostra città. Ebbene sì, fu proprio lui ad importare il foot-ball (com'era ancora chiamato in Italia questo semisconosciuto sport britannico) all'ombra del Santo dopo averlo conosciuto e praticato nel paese elvetico, già dotato di una propria federazione calcistica sin dal 1895 e di un campionato nazionale dal 1897. E non gli ci volle molto per fare i primi proseliti, pionieri del calcio padovano alla continua ricerca di un terreno di gioco non troppo accidentato dove piantare a terra due pali collegati da una fettuccia a mo' di traversa e dedicarsi a questa nuova attività sportiva in mutandoni e mezze maniche. Che detta così, sembra una scena “fantozziana”, ma in realtà i suoi protagonisti erano nientemeno che i rampolli dell'aristocrazia e dell'alta borghesia cittadina: marchesi, conti, baroni, figli e nipoti di senatori, c'erano proprio tutti. Pazzi per il calcio. Loro che di tempo da spendere ne avevano.
    Leggenda narra poi che la prima partita disputata da questa primitiva compagine padovana contro un'altra squadra del territorio risalga al 1902 e si sia svolta contro una non meglio precisata squadra vicentina: il poeta e scrittore Agno Berlese nel 1933 sostenne fosse il neonato Vicenza Calcio, fondato proprio nel marzo del 1902, ma le cronache testimoniano come la prima gara disputata dai berici nella loro storia abbia avuto luogo nella primavera dell'anno successivo. Il mistero dunque permane, così come quello relativo al risultato finale di questo inedito incontro. Eh sì, mica facile parlare di preistoria in ambito calcistico, ove le uniche fonti affidabili, cioè quelle scritte, risultano purtroppo rarissime, se non inesistenti. Ma andando a spulciare gli almanacchi dello stesso Vicenza Calcio, ecco comparire una compagine padovana con cui i berici si sono contesi i campionati veneti di Terza Categoria (il livello calcistico più basso dell'epoca) nelle edizioni 1905 e 1906, uscendone vincitori in entrambe le occasioni, seppur nel secondo caso solamente allo spareggio dopo le consuete gare andata-ritorno. Sempre al 1906 (ma al mese di giugno) risale poi la disputa, da parte di quest'antenata dell'ACP, di una gara in trasferta contro il Milan, nel quadro degli eventi legati all'EXPO 1906, alla quale partecipò con il nome di “Club Ginnastica e Scherma Cesarano Padova”. Ossia quello di un circolo polisportivo fondato nel 1868 dallo schermidore Federico Cesarano, al quale dunque questo gruppo di pionieri del pallone si affiliò per poter disputare gare più o meno ufficiali. Un gruppo di pionieri che iniziava ad essere composto da giovani i cui nomi appariranno quattro anni più tardi tra le fila della prima formazione del Calcio Padova, come ad esempio Giustiniano Bellavitis, Giorgio Treves de' Bonfili, Guido Pozzi e Venturi (il nome di quest'ultimo è ignoto). Giocatori che sulla carta certo non potevano impensierire i neocampioni d'Italia rossoneri. Insomma, Davide contro Golia. Così Herbert Kilpin, giocatore-allenatore milanista (nonché co-fondatore della società), scelse di imbottire l'undici titolare di giovani e seconde linee. Risultato? 0-0 al termine dei tempi regolamentari e sofferta vittoria dei padroni di casa al golden goal al termine della prima frazione supplementare. Niente male per il piccolo Club Cesarano, ricordato così da un tifoso dell'epoca al già citato Agno Berlese: “Allora il gioco del calcio era rude e pericoloso e le tranquille famiglie borghesi avevano il sacro terrore di quel gioco che si definiva “da facchini”! Ma a noi, sin d'allora, fremeva nel sangue il “fuoco sacro” e, sfidando le ire materne, correvamo ad ammirare le epiche gesta di Zanirato, il portiere-balenottero, famoso nei rimandi di pugno e soffice materasso di ciccia sul quale rimbalzavano gli avversari. E ci esaltavamo ammirati ai guizzi agili e felini dell'ingegner Romanin Jacur, l'indimenticabile portiere. E Bellavitis, il capriolo elegante e tempista, e Treves, l'infaticabile barone, il cui fiato era pari soltanto… all'ornamentale appendice nasale che ci colpì sin d'allora, e Crippa, l'inside sinistro, audace e velocissimo, e Pozzi, Baggio, Bressan, Sarto e tutti gli altri di cui ci sfugge il nome ma non muore il ricordo”.
    Dopo la onorevole sconfitta patita a Milano, poi, ecco Treves de' Bonfili e compagni tornare a concentrarsi sulla Terza Categoria veneta, cercando di soffiare il titolo ai rivali vicentini. Missione, però, purtroppo fallita: furono ancora i biancorossi a monopolizzare i tornei del 1907 e del 1908 (che videro anche la partecipazione di una terza squadra: nel 1907 la Ginnastica Marziale di Mestre e nel 1908 il neonato Venezia), anno, quest'ultimo, in cui l'attività del gruppo iniziò ad allentarsi, complice il ritiro di alcuni elementi ormai non più giovanissimi, chiamati “alle armi” da mogli e impegni lavorativi.
    Sembrava tutto finito. In realtà tutto doveva ancora iniziare. Il cuore del calcio padovano tornerà infatti a pulsare con nuovo vigore in una fredda sera del gennaio del 1910, in Piazzetta Della Garzeria numero 3. Un cuore che oggi, centocinque anni più tardi, batte ancora fiero ed affamato di successi.

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    Bellavitis, uno dei pionieri
     
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    "L'importante non è non cadere mai, ma sapersi rialzare dopo una caduta": reti e tenacia di Davide Succi
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    30.03.2015 20:20 di Alessandro Vinci

    Padova Store di via VIII febbraio, 29 marzo 2012. Vale a dire il giovedì successivo alla storica vittoria ottenuta dal Padova sul campo del Vicenza dopo 54 anni. A raccogliere l'abbraccio di oltre 300 tifosi festanti è lì presente il match winner della gara: Davide Succi. Cori, ringraziamenti, pacche sulle spalle e quant'altro per l'attaccante biancoscudato. Ad un tratto gli si presenta di fronte un ragazzino, uno come tanti. Foto ed autografo di rito, poi una frase: “Posso lasciarti una lettera”? Non se l'aspettava, il Cigno. Sorride ed annuisce, poi prende la busta.
    Ma occorre fare un passo indietro, perché la storia di Succi al Padova non inizia certo dal derby contro il Vicenza. Inizia ben dieci anni prima, nell'estate del 2002, quando Ruben Buriani, l'allora DS biancoscudato, lo portò ventenne alla corte di mister Frosio ingaggiandolo in prestito stagionale dal Chievo dopo averlo visto mettere a segno 14 reti in Serie C2 con la maglia della Poggese nella precedente stagione. E l'acquisto si rivelò subito azzeccato: primi due centri nel corso del girone eliminatorio di Coppa Italia di Serie C contro SPAL e Pordenone, seguiti poi da un'ottima regolarità di realizzazione anche in campionato, in C1, a formare con Ciro Ginestra un affiatatissimo tandem offensivo capace di totalizzare nel corso della stagione ben trentanove reti: venticinque il Cobra, quattordici il (futuro) Cigno. Mica male. Tra le vittime del giovane attaccante bolognese nelle prime fasi del campionato, la Pro Patria (doppietta), la SPAL (altra doppietta), il Lumezzane ed il Varese, per un totale di sei reti nelle prime otto giornate. Poi, dopo un novembre a secco, eccolo di nuovo tornare al gol punendo consecutivamente, nelle ultime quattro gare del girone d'andata, Arezzo, Albinoleffe, Lucchese ed Alzano. Insomma, fu anche grazie alle sue marcature che il Padova riuscì a qualificarsi al termine del campionato per i playoff poi persi in semifinale contro lo stesso Albinoleffe, vittorioso all'andata all'Euganeo per 2-1 e vanamente sconfitto per 1-0 nell'incontro di ritorno. Reti che certo non passarono inosservate nelle categorie superiori. A reclamarlo in Serie B fu il neoretrocesso Como, che lo prelevò, sempre in prestito, dal Chievo. Sembrava la fine della storia biancoscudata di Davide Succi. Invece no. La sua strada avrebbe nuovamente incrociato quella del Padova sette anni più tardi, nel 2010. Nel frattempo, per il bolognese, dopo quella che si rivelerà essere la deludente esperienza comasca, altre due avventure non trascendentali tra le fila di SPAL e Lucchese, seguite poi – finalmente – dall'arrivo a Ravenna, dove il Cigno trovò il proprio habitat naturale: 7 reti la prima stagione, 18 la seconda a trascinare i propri compagni verso la conquista della Serie B, e 17 in cadetteria la terza. Marcature, queste ultime, che se da un lato risultarono inutili per evitare alla società romagnola il mesto ritorno in terza serie dopo un solo anno di B, dall'altro gli fecero guadagnare il prestigioso ingaggio da parte del Palermo, in Serie A. Un Palermo che in attacco poteva però contare sull'inamovibile duo Cavani-Miccoli. Inevitabilmente, dunque, tante presenze da subentrato per l'ex Ravenna, capace di mettere ugualmente a segno 6 reti nel corso del campionato, da vero segugio dell'area di rigore. Ma la stagione successiva, a causa dell'arrivo di Javier Pastore e della crescita del baby talento uruguaiano Abel Hernandez, di posto utile ce ne fu ben poco. Ragion per cui nel gennaio del 2010 si trasferì in prestito semestrale al Bologna per poi tornare all'ovile rosanero, in attesa di nuovi stimoli: “Il mio unico sogno è di andare a giocare dove davvero mi vogliono, in un club che creda in me”, dichiara a fine giugno alla Gazzetta dello Sport. Detto fatto: alla sua porta (o meglio, a quella del Palermo) si presenta il Padova, appena salvatosi ai playout in Serie B ed alla ricerca di una prima punta di comprovata affidabilità. Il Cigno non ci pensa su due volte, memore anche della positiva stagione di sette anni prima: offerta accettata, Succi torna in biancoscudato. Il nuovo tecnico Alessandro Calori punta su di lui per bucare le reti delle squadre avversarie. E non verrà deluso.
    Prima gara della sua seconda esperienza all'ombra del Santo ed ecco già il primo sigillo, in casa contro il neopromosso Novara all'esordio in campionato, con un bel colpo di testa ad anticipare il portiere in uscita su delizioso assist dalle retrovie di Italiano. Poi, dopo aver dato forfait la settimana successiva a Crotone, causa febbre, ed essere rimasto a secco al terzo turno a Modena, ecco il ritorno al gol al quarto turno, con una pregevole doppietta inflitta alla Reggina (un gol su rigore, l'altro su azione), battuta perentoriamente per 4-0 di fronte al pubblico amico. E di lì in poi, dopo uno scialbo 0-0 maturato a Trieste nel turno successivo, il Cigno non si fermerà più: undici gol nelle dieci giornate a cavallo tra il sesto ed il quindicesimo turno, ad assicurare al Padova buona costanza di risultati ed a formare con Vantaggiato e Di Gennaro il cosiddetto attacco in 3D (Davide, Daniele e Davide) nel 4-3-1-2 di Calori. Di testa, di piede, su rigore, su punizione, in area, da fuori… Succi è inarrestabile, segna in ogni maniera. La piazza è in visibilio, era da tempo che non si vedeva un elemento con un tale killer instinct, ed i tifosi iniziano a soprannominarlo “Re Davide”. Lui apprezza e ringrazia, dice anche di avere in testa un preciso traguardo di reti, ma sceglie di non esternarlo per scaramanzia. D'altra parte, i numeri parlano chiaro: 14 reti in 14 partite giocate. Una media da brividi. Una media, esaminando le prime e seconde serie dei maggiori campionati europei, seconda solo a quella fatta registrare da due signori chiamati Lionel Messi e Cristiano Ronaldo. A chi glielo fa notare, Succi risponde: “Non ci penso, la classifica marcatori la guarderò solamente a fine stagione. Non è il momento di badare ai singoli”. Sempre modesto e pacato, il Cigno. Sempre umile ed umano, in un mondo, quello del calcio, in cui semplice è montarsi la testa ed atteggiarsi da campioni anche senza averne effettivo motivo. Alle parole preferisce i fatti, ai calcoli i gol, come quello che il 10 dicembre stende il Sassuolo all'Euganeo, facendo riscattare la squadra dopo tre sconfitte consecutive maturate contro Vicenza, Varese ed Ascoli. Nessuno però poteva ancora immaginare che sarebbe stato l'ultimo della stagione per Re Davide. Ebbene sì.
    15 gennaio, prima giornata di ritorno. Il Padova va a fare visita al Novara dell'ex Tesser. Sembra una partita come le altre. Invece no. Verrà ricordata a lungo. Dodicesimo minuto, Succi stacca alto tra la nebbia del Piola per addomesticare di petto un pallone spiovente in anticipo sull'azzurro Porcari. Poi il crac, l'urlo di dolore, le lacrime, l'uscita dal campo in barella mani al volto: vuoi per la sfortuna, vuoi per il terreno sintetico, al momento del contatto col terreno il tendine d'Achille della gamba sinistra salta completamente. Uno degli infortuni più temuti da ogni calciatore. Il responso è chiaro: occorre l'intervento chirurgico. Alla vigilia dell'operazione, fissata per il mercoledì successivo, il Cigno a Bresseo non nasconde il proprio rammarico: “Purtroppo non posso più contraccambiare in campo l'affetto della gente di Padova, ma desidero ugualmente ringraziarla tanto perché sento che qui tutti mi vogliono bene. Mi sarebbe piaciuto raggiungere i 25 gol stagionali di Prendato, un vero peccato essermi infortunato, anche perché questa maglia e questa squadra me le sentivo proprio mie. Ora vado a chiedere ai miei compagni di raggiungere i playoff, perché lì potrei esserci. Se mi fanno questo grosso regalo poi ricambierò a dovere”. Eh sì, perché i giornali e le televisioni parlano di quattro o quattro mesi e mezzo di stop. Patrizio Sarto, il medico della squadra, addirittura di tre. A Pavia l'intervento riuscì con successo, almeno stando a quanto comunicato con sollievo dal sito ufficiale biancoscudato pochi minuti dopo la conclusione dello stesso. Ma evidentemente così non fu, poiché nel corso della lenta fase di recupero subentrarono alcune complicazioni (scollamento longitudinale di alcune fibre tendinee) che resero necessaria una seconda operazione, effettuata il successivo 15 giugno. Ossia tre giorni dopo l'infelice gara di ritorno della finale playoff disputata dai suoi compagni proprio sul funesto sintetico di Novara. Insomma, al termine della stagione la fine del tunnel era ancora ben lungi dall'apparire per il Cigno. Il Padova nel corso del mercato estivo non lo riscatta, insensato spendere 800mila euro per la metà di un giocatore infortunato. Ed il percorso biancoscudato di Succi sembra di nuovo giunto al capolinea. Ma il colpo di scena è dietro l'angolo: 31 agosto, ultimo giorno di trattative, Re Davide torna nuovamente (in prestito) a Padova. E dopo averlo visto scendere in campo con la squadra Primavera ad inizio novembre, i tifosi assisteranno al suo rientro in campo con la prima squadra il 6 gennaio successivo, praticamente ad un anno da quel maledetto pomeriggio novarese, all'89' della gara interna contro l'Ascoli. Il calvario è finito. Finalmente. Ormai è solo questione di ritrovare la forma migliore, ma soprattutto il gol. Tempo di smaltire un altro paio di infortuni fisiologicamente dovuti al lungo stop, ed il Cigno torna titolare in occasione del derby contro il Vicenza del 26 marzo. Una gara diversa dalle altre: c'era da consolidare il quinto posto playoff, ma per farlo sarebbe occorso espugnare il Menti dopo ben 54 anni dall'ultimo exploit in terra berica, datato 9 marzo 1958. Allo stadio, nonostante si giochi in un televisivo lunedì sera, l'atmosfera è quella delle grandi occasioni. Gli oltre mille tifosi biancoscudati presenti nel settore ospiti non aspettano altro che di esultare. E Succi non vuole certo deluderli, provando già dopo 11' ad impensierire Frison con un fendente da fuori area che termina di poco a lato del secondo palo. Sono le prove tecniche per il ritorno al gol dopo oltre 15 mesi di astinenza. Un gol che infatti si materializza solo tre minuti più tardi, quando Re Davide si avventa su una palla respinta da Giani su lancio dalle retrovie di Marcolin e dai venti metri va a spedirla di controbalzo direttamente nell'angolino basso alla sinistra del portiere di casa, proprio sotto la curva occupata dai tifosi biancoscudati. Il boato è fragoroso. L'urlo del Cigno liberatorio. Il gol decisivo. Il punteggio infatti non muterà più.
    Ed eccoci tornati al Padova Store. Eccoci tornati alla lettera del ragazzino, che Succi sceglie di leggere una volta tornato a casa, in piena tranquillità. Lì scritte, parole di ringraziamento per il gol messo a segno nel derby, parole di sollievo per il lungo stop ormai alle spalle e di speranza per una possibile promozione in Serie A. Poi una citazione tratta da Rocky: “Nessuno può colpire duro come fa la vita, perciò andando avanti non è importante come colpisci, l'importante è come sai resistere ai colpi, come incassi, e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti. Così sei un vincente!” E Succi aveva ampiamente dimostrato di esserlo, da vero campione. Saranno altre nove le presenze stagionali del Cigno (di cui cinque da subentrato), poi, il ritorno al Palermo, sempre detentore del suo cartellino. Il Padova sceglie di non puntare più su di lui, rinunciando a metterlo nuovamente sotto contratto. Ma la valutazione si rivelerà a dir poco errata, come testimoniano i 15 gol che metterà a segno nel successivo campionato tra le fila del Cesena, che ne aveva gratuitamente (!) rilevato il cartellino. Un Cesena con cui la scorsa stagione ha ottenuto la promozione in Serie A, campionato in cui, finora, è sceso in campo in sole quattro occasioni, togliendosi però lo sfizio di segnare al Milan al quinto turno (1-1 il finale al Manuzzi). Troppo poco per uno come lui. Uno che ha costante bisogno di sfide e motivazioni sempre nuove. Uno che ha bisogno del gol come del pane. A 33 anni, nel futuro del Cigno qualche nuova esperienza in B o in Lega Pro, per continuare a fare la differenza.
    E se il suo nome tornasse di attualità alle nostre latitudini nel caso di un ormai probabilissimo ritorno biancoscudato in terza serie?

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    Davide Succi, il Cigno
     
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    Il Padova e Carlo Sabatini, una storia vincente [parte 1]: la conquista della Serie B
    Flash dal passato, momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    06.04.2015 17:21 di Alessandro Vinci

    E' una sorta di riflesso pavloviano tutto biancoscudato: dici Carlo Sabatini e ti viene in mente Busto Arsizio, ti viene in mente Trieste, ti vengono in mente emozioni, festeggiamenti, traguardi insperati e quant'altro. Perché sotto la regia del tecnico perugino poteva succedere di tutto, il colpo di scena era sempre dietro l'angolo. Ma il finale si rivelava sempre a lieto fine. Dopotutto, questo sono state le stagioni 2008-2009 e 2009-2010: pellicole indimenticabili. Veri e propri miracoli sportivi. E pensare che fino al marzo 2008 il loro artefice sedeva solamente sulla panchina della Berretti. Poi, la grande occasione di passare alla guida della prima squadra, coronando così un sogno cullato per diciotto anni. Eh sì perché Sabatini arrivò all'ombra del Santo già nel 1990 dalla sua Umbria per allenare i giovani del vivaio biancoscudato, fungendo anche da tutor ai ragazzi della foresteria della Guizza, tra i quali nei primi anni un certo Alex Del Piero, che così lo definirà su “Biancoscudo”: “Era severo ma anche comprensivo, un vero punto di riferimento per noi ragazzi, anche se a ping pong ero più forte di lui”. In seguito, dopo una parentesi nel settore giovanile del Venezia ed una biennale esperienza nello staff dell'Udinese a contatto con allenatori del calibro di Cosmi, Allegri, Sensini, Galeone e Malesani, ecco il timone della Berretti biancoscudata, con cui iniziò ad ottenere sin da subito ottimi risultati. Proprio quelli che il presidente Marcello Cestaro, al momento della sua “promozione”, si auspicava potesse far registrare anche la prima squadra, così da rientrare prontamente in quella zona playoff abbandonata a seguito della sconfitta esterna sul campo del Venezia del 16 marzo che era costata la panchina ad Ezio Rossi. Ed in effetti, i primi risultati ottenuti dal nuovo tecnico risultarono più che confortanti: tre vittorie consecutive su Sassuolo (capolista), Verona e Pro Patria, più pareggio per 1-1 nello scontro diretto sul campo del Foggia quinto in classifica. Ed il piazzamento playoff tornò dunque ad essere una piacevole realtà. Tanto più se all'Euganeo, alla terzultima di campionato, era in procinto di presentarsi la modesta Pro Sesto. Quarto successo della gestione Sabatini? Per niente. Lombardi vincitori per 2-1 con reti di Vignati e Musetti. Una sconfitta che si rivelò fatale. Dopo un buon 1-1 esterno nella tana della Cremonese seconda in classifica, infatti, a nulla valse il pirotecnico 6-4 ottenuto all'ultima giornata contro la Cavese: il Padova perse il treno-playoff per un solo punto nei confronti del Foggia. Ma in ogni caso i risultati ottenuti dal nuovo tecnico parlavano chiaro: sembrava esserci una buona base su cui lavorare in vista della stagione successiva. Una base puntellata nel corso del mercato estivo dal DS Mauro Meluso con gli arrivi dei terzini Carbone e Falsini (un ritorno), del talentuoso centrocampista scuola Juve Pederzoli, e degli attaccanti Filippini e Gasparello. Invariata invece la rodata ossatura formata dai vari Cano, Faisca, Bovo, Baù, Rabito, Di Nardo e Varricchio. Risultato? Un gruppo ben assortito, pronto a conquistare quantomeno i playoff. Ed a confermare le ottime sensazioni emerse in sede di mercato ci pensarono subito le prime gare della stagione, che videro gli uomini di Sabatini qualificarsi per il quarto turno di Coppa Italia sul campo del Catania dopo aver superato il Pontedera all'Euganeo con un roboante 8-0, il Piacenza al Garilli per 1-0 ed addirittura il Chievo (squadra di Serie A) al Bentegodi per 2-1, grazie ad una pregevolissima doppietta dell'Airone Varricchio. “Squadra tonica, brillante, mai timorosa”. Così veniva descritta alla vigilia dell'inizio del campionato la nuova creatura biancoscudata. Non ci fu dunque di che stupirsi nel vedere il Padova passare già in vantaggio per 3-1 dopo 30' nel corso della prima gara del torneo sul campo del Legnano grazie ad una tripletta di “Roger” Rabito. Poi però, il vento girò: rete di Lanteri al 40', pari di Nizzetto in avvio di ripresa, e remuntada lilla completata a dieci minuti dal termine dal figlio d'arte Francesco Virdis. Ma per fortuna ci pensò Varricchio in zona Cesarini a fissare il punteggio sul 4-4 finale. Non certo un risultato di cui andar fieri, visto l'iniziale vantaggio. E la domenica successiva non andò poi tanto meglio, con un mediocre 2-2 interno contro il Lumezzane, seguito poi dal brusco tonfo sul campo del Novara (3-0 il finale) al terzo turno e dall'eliminazione in Coppa Italia per mano del Catania (4-0 al Massimino). Sabatini salì sul banco degli imputati, l'entusiasmo di qualche settimana prima sembrava ormai solamente un ricordo. Ma inaspettatamente i biancoscudati rialzarono la testa, reagendo alle critiche: 3-0 all'Euganeo alla Pro Sesto, vittoria di misura nel derby del Bentegodi contro l'Hellas grazie ad una rete di Bovo, e 3-1 in scioltezza all'Euganeo sulla matricola Portogruaro. Il Padova era tornato a marciare? Non proprio, dato che nelle successive quattro giornate Faisca e compagni ottennero una sola vittoria (all'Euganeo contro il Cesena) a fronte di due sconfitte ed un pareggio. Insomma, ai biancoscudati mancava la continuità, caratteristica imprescindibile per chi punta a condurre un campionato di vertice. Ecco perché, nonostante ne avesse difeso a spada tratta l'operato per tutto il girone d'andata, il presidente Cestaro scelse di esonerare Sabatini dopo la prima gara del girone di ritorno (un deludente 0-0 interno contro il Legnano seguito da pesanti contestazioni della tifoseria) con la squadra sesta in classifica, capace di portare a casa i tre punti in una sola occasione nei precedenti cinque incontri. Ma la rivoluzione non terminò qui: via anche il ds Meluso (mai completamente entrato nelle grazie dell'imprenditore vicentino), che nel frattempo, nei primi giorni del mercato di riparazione, aveva portato all'ombra del Santo due pedine che si riveleranno assai preziose nel finale di stagione: il centrale brasiliano Cesar ed muscolare centrocampista italo-nigeriano William Jidayi, entrambi in prestito con diritto di riscatto della comproprietà rispettivamente da Chievo e Sassuolo. Ma quali figure mettere sotto contratto per sostituire i due “silurati”? La scelta ricadde presto su Attilio Tesser, reduce da alcune non esaltanti esperienze in Serie B alla guida di Ascoli e Mantova, e Doriano Tosi, ex ds di Modena, Parma e Torino. Nomi importanti per la Serie C (o meglio, proprio da quella stagione, Lega Pro). L'obiettivo? Riconquistare stabilmente i playoff, che d'altra parte rimanevano lì, a portata di mano, ad un solo punto di distanza. Missione fallita: deludente 0-2 sul campo del Lumezzane, estemporanea vittoria interna sul Novara, e due nuove sconfitte consecutive patite per mano di Pro Sesto e Verona, per giunta in quest'ultimo caso di fronte al proprio pubblico con le maglie celebrative del centenario. La situazione era più delicata che mai: tifosi caddero nello sconforto, i media puntarono il dito un po' contro tutti, accusando i giocatori di concentrarsi più sulle piste delle discoteche che sul terreno di gioco. Per fortuna, però, anche le concorrenti playoff dei biancoscudati non inanellarono risultati trascendentali, rimanendo così a breve distanza dagli uomini di Tesser. Un Tesser che però non avrebbe dovuto steccare la sua quinta gara sulla panchina del Padova sul campo del Portogruaro. Ma così fu: 0-0 finale e benzina sul fuoco a critiche, fischi e contestazioni. Nonostante ciò, nella sala stampa del Mecchia, Cestaro fu categorico: “Continuiamo con Tesser”, salvo poi cambiare idea sulla strada del ritorno su consiglio del dg Sottovia. Ecco quindi il ritorno di Sabatini, il “ragazzo capellone”, come lo soprannominava scherzosamente il presidente biancoscudato. Scelta assolutamente azzeccata, lo si capì già da subito, data la grande voglia di riscatto del tecnico perugino, determinato a portare a termine il lavoro iniziato l'anno precedente alla guida della squadra. Naturale conseguenza di ciò, due pesantissime vittorie consecutive ottenute nel derby contro il Venezia (0-1, gol di Varricchio) ed in casa sulla Sambenedettese che fecero tornare il Padova in zona playoff, al quinto posto, seppur in coabitazione con Novara e SPAL. Tutto era ancora in gioco. Il problema era che la gara successiva, in programma per il 23 marzo, avrebbe visto i biancoscudati andare a fare visita al Cesena capolista. E l'esito fu quello temuto: 2-1 in favore dei padroni di casa, complice un arbitraggio obiettivamente sfavorevole da parte del signor Magno di Catania. Se poi ci aggiungiamo uno 0-0 nello scontro diretto con la SPAL quinta in classifica (a più tre sulla banda-Sabatini) ed un KO per 3-2 – sempre di fronte al proprio pubblico – contro il Ravenna maturati nelle successive due giornate, ecco che il Padova si ritrova, a sole cinque gare dal termine dei giochi, distanziato di ben 6 punti dalla zona playoff. Un divario sostanzioso, probabilmente insormontabile, data la cronica discontinuità di risultati da parte della squadra, nuovamente fatta oggetto di contestazione da parte dei tifosi. Praticamente briciole in confronto a ciò che accadde nella settimana successiva alla sconfitta contro il Ravenna, quando, al giovedì, Varricchio e Pederzoli si resero protagonisti di un acceso diverbio con un giornalista della carta stampata, prontamente emulati ventiquattr'ore più tardi dal presidente Cestaro, che poco prima della partenza del pullman della squadra verso Cremona si avventò furiosamente al collo di un altro cronista, riportato poi alla ragione solamente grazie all'intervento del corpulento magazziniere Piero. Scene da far west, clima più che mai lontano da quello consono ad una squadra alla ricerca di risultati importanti. Ma si sa, il calcio non è matematico. Non vive di leggi fisse né tanto meno razionali. Perché di lì in poi il Padova inserì la marcia giusta e non si fermò proprio più, andando a vincere, trascinato da un super Varricchio, le successive cinque gare contro Cremonese (0-1), Monza (3-1), Pergocrema (0-1), Lecco (2-1) e Reggiana (0-1), riuscendo così, dopo l'exploit in terra emiliana, a rientrare prepotentemente in zona playoff, a più tre punti sulla SPAL sesta in classifica. Insomma, all'ultima giornata sarebbe bastato anche un pari per qualificarsi agli spareggi. Impresa certo non scontata, essendo attesa all'Euganeo la Pro Patria seconda in classifica, ancora in corsa per il primato. La città è in fermento. Nel giro di poche settimane la situazione si è letteralmente capovolta: dalle contestazioni si è passati agli applausi, dai disfattismi alle speranze, dalle tensioni all'entusiasmo. Sulle note di “Forza Padova”, vecchio inno biancoscudato rispolverato la settimana precedente in occasione della trasferta di Reggio Emilia da Antonio Ammazzagatti, il radiocronista ufficiale, quel 17 maggio si presentarono all'Euganeo oltre 10000 tifosi, pronti a trascinare la squadra verso un traguardo insperato. In campo è partita vera, la Pro Patria carbura gradualmente, poi tenta più volte di sbloccare il punteggio, ma Cano si rivela letteralmente provvidenziale. Ed anzi, a 13' dal termine è Filippini a sfiorare la rete colpendo la traversa con una bordata di controbalzo dai venti metri. Ma alla fine, il punteggio rimane inchiodato sullo 0-0. Il Padova approda ai playoff, nonostante tutto. E lo fa addirittura da quarto classificato, alla luce del miglior computo negli scontri diretti nei confronti della Reggiana, che chiuse anch'essa a quota 54 punti. Morale? La semifinale avrebbe visto i biancoscudati misurarsi con il Ravenna. Proprio quel Ravenna che un mese e mezzo prima, espugnando l'Euganeo, aveva fatto precipitare le chances promozione dei ragazzi di Sabatini. Invece loro erano incredibilmente lì. Lì a giocarsi la promozione in Serie B con il vento in poppa. L'andata è in programma all'Euganeo il 31 maggio. Vincere l'imperativo: in caso di parità al termine dei 180 minuti, a passare in finale sarebbe stata la miglior classificata, ossia la compagine romagnola. La gara parte subito a mille, ritmi elevati sin dal 1' e Padova determinato a fare la partita. A sbloccare il punteggio ci pensò dopo nemmeno dieci giri di lancette il sempre determinante Max Varricchio, l'Airone, abile a trafiggere Brignoli su servizio dalla destra di Totò Di Nardo, per la felicità degli 8000 dell'Euganeo. Ma la gioia durò poco. Giusto il tempo di vedere Zizzari, sette minuti più tardi, ristabilire la parità finalizzando alle spalle di Cano una geniale verticalizzazione di Leonardo Pettinari. Nel prosieguo della partita, tante ottime iniziative, un palo per parte ed una clamorosa palla gol fallita a pochi minuti dal triplice fischio da parte di Varricchio. Ma il punteggio non si smosse dall'1-1, risultato che avrebbe obbligato i biancoscudati ad espugnare il Benelli per continuare a sognare la promozione. A sostenere Faisca e compagni verso una nuova impresa, sette giorni più tardi accorsero in Romagna più di 2000 cuori biancoscudati. In campo, però, il punteggio pareva non volersi proprio sbloccare, e le squadre rientrarono negli spogliatoi all'intervallo ancora sullo 0-0. Serviva un episodio, una giocata vincente per aprire le marcature. L'occasione giusta sembrò presentarsi in avvio di ripresa, quando il direttore di gara Carbone di Napoli sanzionò un calcio di rigore in favore dei biancoscudati per un fallo di mano commesso da Sabato. Ma Pederzoli, presentatosi sul dischetto, calciò malissimo: debole e centrale il suo tiro, facilmente neutralizzato dal portiere di casa. Niente paura però, perché i tempi erano ormai maturi: a portare in vantaggio il Padova ci pensò infatti una manciata di minuti più tardi l'unico acquisto del ds Tosi, il centrocampista rumeno Bogdan Patrascu, con uno splendido calcio di punizione mancino dal limite dell'area ad insaccarsi sul sette alle spalle di Brignoli. Tutto a quel punto stava dunque nel difendere il vantaggio. In questo senso, Cano si rivelò miracoloso al 71' nel deviare in corner una calibratissima punizione di Sciaccaluga. Ma nulla poté 5' più tardi su una zampata del solito Zizzari che riportò il punteggio in parità sugli sviluppi di un calcio di punizione dalle retrovie. Sembrava la fine del sogno per il Padova. “Hai voglia a riuscire a segnare un'altra volta...”, si mormorava in curva. Nulla di più sbagliato: palla al centro, Varricchio indietro per Patrascu, servizio corto del rumeno in direzione di Bovo, che gira di prima su Rabito, abile a lanciare in avanti lo stesso Varricchio, nel frattempo proiettatosi nei pressi dell'area avversaria. A raccogliere la sponda dell'Airone è Jidayi, in anticipo su un difensore ravennate. C'è Falsini totalmente libero sul secondo palo, Willy lo vede con la coda dell'occhio e gli serve il pallone. Di fronte al “Sindaco”, solamente la porta. Sguarnita. La coordinazione, il tiro, il clamoroso palo, la sfera che tornando indietro rimbalza sulla spalla del terzino biancoscudato e termina in rete. E' il 2-1. E' un gollonzo che è passato alla storia, a concludere paradossalmente nel migliore dei modi un'azione da manuale. Una rete che si rivelerà decisiva, perché il punteggio non muterà più. Mai vista una stagione così pazza, poco ma sicuro. Sembra incredibile, ma il Padova è in finale playoff, a un passo dal paradiso. Ultimo ostacolo, la temibilissima Pro Patria, che aveva avuto la meglio nella propria semifinale sulla Reggiana, e che era stata al comando della classifica per gran parte della regular season. Che formazione, quella bustocca, guidata da un tecnico in rampa di lancio come Franco Lerda. Una formazione che poteva contare in difesa sul duo centrale scuola Juve Pisani-Urbano, oltre che sull'esperto terzino bosniaco Vedin Music, vecchia conoscenza biancoscudata. Dalla cintola in su, poi, tutti elementi capaci di fare la differenza: da Dalla Bona a Cristiano, da Correa a Toledo, passando per Fofana e Do Prado. Insomma, una vera e propria armata, per giunta galvanizzata dalle ottime notizie appena giunte dal fronte societario, con l'acquisizione all'ultima udienza utile dell'intero pacchetto azionario da parte della famiglia Tesoro, dopo il fallimento avvenuto due mesi prima sotto la presidenza di Giuseppe Zoppo (situazione molto simile a quella vissuta la scorsa stagione dal Bari, per intenderci). Ma il Padova certo non era squadra da farsi intimidire. Specialmente dopo una cavalcata del genere. Ecco dunque, già al 9' della gara d'andata, che i biancoscudati, spinti dagli oltre 12000 dell'Euganeo, si guadagnano un calcio di rigore grazie a Di Nardo, vistosamente trattenuto per la maglia da Polverini. A chi l'onere di piazzare il pallone sul dischetto? In assenza di Pederzoli, tocca a Rabito. Ma poco cambia, la maledizione continua: palla centrale e parata facile per il portiere avversario, Giambruno. Un vero delitto aver fallito il penalty. Anche perché, nonostante le numerose occasioni prodotte in seguito da entrambe le squadre, il finale risultò lo stesso di quello maturato all'ultima di campionato: 0-0. E per il Padova si profilava dunque la necessità di realizzare l'ennesima impresa esterna. L'ultima, la più pesante. Quella decisiva. E' il 21 giugno la data da cerchiare sul calendario. Sono però solo 600 i tifosi biancoscudati che riescono ad impossessarsi di un biglietto per la trasferta dello Speroni. Tutti gli altri, insieme a soffrire di fronte alle televisioni o al maxischermo allestito per l'occasione in Prato della Valle con la voce di Antonio Ammazzagatti. La gara si rivela subito vivace, il Padova cerca di spingere alla ricerca del gol, ma è la Pro Patria a rendersi maggiormente pericolosa nel corso della prima mezz'ora di gioco con Toledo e Fofana, costretti però a fare i conti con un Cano come al solito insuperabile. Poi, al 41', ecco ciò che non ti aspetti: espulsione di Di Venanzio per doppio giallo e squadre negli spogliatoi in undici contro dieci. Sarebbe servito un miracolo per vincere la partita. Per non vanificare la cavalcata partita oltre due mesi prima. Per tornare dopo undici anni in Serie B. Sabatini lo sa, e negli spogliatoi suona la carica. Infatti nella ripresa i biancoscudati scendono in campo “con la bava alla bocca”, mettendo progressivamente alle corde una Pro Patria sempre meno incisiva, forse ormai certa del buon esito della gara. A punirla puntualmente ci pensò, a 9' dal termine, Totò Di Nardo, che ribadì in rete di testa (proprio lui, alto nemmeno 1 metro e 65) una ribattuta corta di Giambruno su incornata di Varricchio sugli sviluppi di una punizione dalla sinistra di Patrascu. Gioia pura per i tifosi padovani. Mazzata micidiale per gli uomini di Lerda. Così, soli quattro minuti più tardi, ecco il raddoppio di Totò, assurto ormai ad eroe, abilissimo ad approfittare dell'immobilità della retroguardia di casa su un lancio alla bell'e meglio di Bovo e ad insaccare a porta vuota il gol del 2-0. E' l'apoteosi. A nulla varrà il gol dell'1-2 messo a segno da Urbano negli ultimi minuti di gioco. Alle 17.50, ecco dunque l'annuncio di Antonio Ammazzagatti, quello che tutti avrebbero voluto ascoltare: “E' finita, è finita! E' Serie B, è Serie B, è Serie B! Esplode il tifo biancoscudato, dopo undici anni di delusioni e di bastonate sui denti! Il Padova torna in Serie B nella maniera più difficile, contro tutto e tutti, in dieci contro undici a Busto Arsizio di fronte ai propri 600 tifosi!”. Sono le parole che fanno da sottofondo allo scoppio del delirio più totale in Prato della Valle, dove la festa-promozione prende subito il via per poi terminare solamente a tarda sera, quando furono in almeno 5000 ad accogliere in città i propri beniamini, gli eroi di Busto, di ritorno dallo Speroni. “Ho sempre avuto la convinzione che quel gruppo ce la potesse fare. Anche dopo le sconfitte più amare”. A scrivere queste parole su “Biancoscudo”, chi, se non lui? Carlo Sabatini. L'artefice del trionfo biancoscudato. “Ho avuto fiducia nei miei ragazzi anche dopo la sconfitta interna con il Ravenna, quella che sembrava averci tagliato fuori da tutto. Dopo il 90', con ancora quel 3-2 da metabolizzare, ho incrociato gli sguardi della mia squadra nello spogliatoio. Rassegnazione? No, macché, tutt'altro. Ora o mai più, questo dicevano quegli occhi. E così è stato. In un lampo ci siamo ritrovati a giocarci tutto a Busto. Lì dove finalmente ho realizzato il mio sogno: quello di vincere in una città, per una società ed una tifoseria alle quale sarò legato a vita. E' tutto vero, anche se a volte devo darmi un pizzicotto per rendermi conto che è davvero così”. Ma una volta trascorso il dì di festa, ci si dovette però rendere presto conto di un particolare: c'era una Serie B alle porte da affrontare al meglio. Alla prossima puntata…
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    Sabatini in trionfo a Busto

    Il Padova e Carlo Sabatini, una storia vincente [parte 2]: le gioie, le delusioni ed il gustoso lieto fine della stagione 2009-2010
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    13.04.2015 20:36 di Alessandro Vinci

    Bene, dov'eravamo rimasti la scorsa settimana? Sì, alla nuova avventura in cadetteria che attendeva il Padova di mister Sabatini. Una squadra che, per quanto meritatamente, aveva fatto una fatica enorme ad ottenere la promozione. Urgevano dunque rinforzi. E tanti anche.
    Subito gran lavoro dunque per il neo ds Ivone De Franceschi, che rivoluzionò l'undici titolare portando all'ombra del Santo uno dopo l'altro: il portiere ex Palermo e Brescia Federico Agliardi, il giovane terzino destro scuola Milan Matteo Darmian, il rapido terzino sinistro Francesco Renzetti dall'Albinoleffe, il centrale Trevor Trevisan dal Pisa, l'esperto ex regista di Chievo ed Hellas Verona Vincenzo Italiano, il coriaceo centrocampista argentino del Portogruaro Matias Cuffa ed infine in avanti il giovane albanese Edgar Cani e l'esperto Andrea Soncin rispettivamente da Palermo ed Ascoli. Praticamente un restyling totale. Ma ad andare a segno alla prima giornata di campionato, in casa contro il Modena, fu invece ancora lui, l'eroe di Busto Arsizio: Totò Di Nardo. Rete pesante la sua, poiché permise ai biancoscudati di aggiudicarsi i primi tre punti del campionato. Un campionato che proseguì poi col piede giusto, dato che gli uomini del riconfermatissimo Sabatini subirono la prima sconfitta solamente all'ottavo turno, sull'ostico campo del Crotone. Fino ad allora, infatti, oltre alla vittoria dell'esordio contro il Modena erano arrivati quattro pareggi contro Reggina, Piacenza, Frosinone e Gallipoli ed altri due successi su Ancona e, soprattutto, Torino. Eh sì, gran vittoria quella ottenuta il 22 settembre all'Olimpico sulla neoretrocessa corazzata granata, grazie ad un'altra rete di Di Nardo, la terza stagionale fino a quel momento.
    Insomma, in casa Padova si respirava aria nuova. D'altronde, nessuno si sarebbe mai aspettato un avvio di campionato così ricco di soddisfazioni da parte di Faisca e compagni, partiti con l'obiettivo di una salvezza tranquilla. Ma si sa, l'appetito vien mangiando. Ecco dunque i biancoscudati riprendersi alla grande dal KO dello Scida andando a superare in scioltezza il Mantova all'Euganeo per 3-0 (reti di Italiano, Rabito e Cani), portandosi così al secondo posto in classifica a quota 16 punti a pari merito con il Cesena, a sole due lunghezze di distanza dal Frosinone capolista.
    L'entusiasmo era alle stelle. In barba alla scaramanzia la parola Serie A iniziava già a circolare sulle bocche della gran parte dei tifosi. Tanto più dopo aver visto la squadra allungare la propria striscia positiva grazie ai pareggi contro Grosseto, Triestina e Cittadella ed al successo interno per 3-1 contro la Salernitana fanalino di coda del campionato. E così, come per magia, il 15 novembre il Padova si ritrovò ad avere la possibilità di conquistare il primo posto (ex aequo con il Cesena) in caso di successo sul campo del Lecce secondo in classifica. Impresa non semplice, certo, ma a sbloccare il risultato in favore dei biancoscudati, catapultandoli così in vetta al campionato, ci riuscì al 62' l'uomo che non ti aspetti: William Jidayi. Il primato, però, resistette purtroppo solo otto minuti: giusto il tempo di vedere Corvia pareggiare i conti su calcio di rigore. Ed oltre al danno arrivò anche la beffa, con Vives a fissare il punteggio sul 2-1 a 5' dal 90'. Un vero peccato, ma in ogni caso il piazzamento playoff continuava a rimanere una piacevole realtà per Di Nardo e compagni. Nonostante ciò, però, l'interruttore dei risultati si spense tutt'a un tratto: nelle successive sette giornate, infatti, maturarono ben sei sconfitte a fronte di una sola vittoria (paradossalmente ottenuta in casa contro il Cesena secondo in classifica). Risultati inspiegabilmente desolanti, che ridimensionarono del tutto le velleità promozione di un Padova a quel punto scivolato al quindicesimo posto, ad un solo punto di distanza dalla zona playout.
    La panchina di Sabatini iniziò a traballare pericolosamente, il pari a reti bianche che maturò alla prima di ritorno in casa del Modena sembrava un buon viatico in vista di un'inversione di tendenza, ma dopo l'arrivo di due ulteriori sconfitte contro le rivali-salvezza Reggina e Piacenza, il presidente Cestaro optò per l'esonero del tecnico perugino. Scelta inevitabile dato il piazzamento in zona retrocessione di una squadra ormai ridotta all'ombra di se stessa, nonostante arrivi importanti registrati nel mercato di Gennaio quali quelli del giovane talento scuola Atalanta Giacomo Bonaventura, del compianto Piermario Morosini in prestito dall'Udinese e del quotato attaccante pugliese Daniele Vantaggiato, che aveva militato nella prima metà del campionato tra le fila del Torino. Per sostituire “il ragazzo capellone” alla guida del gruppo, la società cercò di mettere sotto contratto Arrigoni prima e Bergodi poi, ricevendo però “picche” da entrambi. Poi, all'improvviso, il nome del nuovo tecnico: Nello Di Costanzo.
    “Nello chi?”, si domandarono i tifosi. Sì, Cuono “Nello” Di Costanzo, romano classe '61, ex tecnico in Serie B di Ascoli e Messina ed in precedenza del Venezia, passato sotto la sua guida dalla C2 alla C1 nel 2006. Un nome che certo non accendeva gli entusiasmi della piazza. Ma si sa, nel bene e nel male, nel calcio è sempre il campo a fare da giudice. L'obiettivo era quindi uno solo: abbandonare quam primum le sabbie mobili della bassa classifica. Ma la missione fallì: insufficienti i 13 punti racimolati nelle successive dieci giornate dal nuovo allenatore, mai realmente entrato nelle grazie della tifoseria per via del gioco poco spumeggiante espresso dalla squadra sotto la sua gestione. Così, dopo un deludentissimo pari esterno sul campo della Salernitana lanterne rouge ormai condannata alla retrocessione, ecco tornare al comando della truppa biancoscudata, come un deja vu della stagione precedente, il vecchio condottiero di mille battaglie: Carlo Sabatini, chiamato ad ottenere la salvezza per non vanificare quanto guadagnato la precedente stagione. Impresa tutto sommato non proibitiva. D'altra parte, la media punti di Di Costanzo non era stata proprio malvagia ed il diciassettesimo posto, sinonimo di permanenza in Serie B, distava solamente un punticino. La squadra, però, evidentemente non voleva proprio saperne di ingranare: infatti dopo un incoraggiante nuovo esordio del tecnico umbro con un pari interno contro il Lecce capolista, arrivarono successivamente un pesante KO per 4-0 al Castellani di Empoli, uno 0-0 nel derby del Menti contro il Vicenza, un 1-1 in casa contro il Sassuolo ed una nuova, pronosticabile sconfitta, sul campo del Cesena.
    Morale? A tre giornate dal termine il Padova si ritrova al terz'ultimo posto, a meno tre punti dalla zona playout. Il baratro era vicino, occorrevano urgentemente risultati positivi. Proprio come la stagione precedente per conquistare i playoff in Lega Pro. Fortunatamente, nelle gare successive, i biancoscudati dovevano affrontare due squadre, Ascoli ed Albinoleffe, che non avevano ormai più nulla da chiedere al campionato, già certe di un anonimo piazzamento di centro classifica. E l'esito fu quello sperato: doppio successo degli uomini di Sabatini rispettivamente per 3-1 e 2-1 (partita contro i lombardi a dir la verità molto sospetta...), e Padova che riacciuffò la zona playout a più uno sul Mantova terz'ultimo in classifica, portandosi a meno due punti dalla zona-salvezza. Insomma, era chiaro che l'ultima giornata sarebbe stata a di poco cruciale. Una di quelle gare che, come si suol dire, valgono un'intera stagione. Tra la vittoria e la sconfitta, in ballo la permanenza in B o la retrocessione in Lega Pro dopo un solo campionato cadetto.
    In un afoso 30 maggio, nella cornice di un Euganeo gremito (quasi 14000 spettatori totali) era atteso il Brescia di Beppe Iachini, secondo in classifica ed in serie positiva da dieci giornate, che in caso di vittoria sarebbe approdato matematicamente in Serie A. Insomma, in campo si preannunciava spettacolo. Ed in effetti la gara non tradì le aspettative sin da subito, con “l'uomo della provvidenza” Totò Di Nardo, che già dopo tre giri di lancette sbloccò il punteggio in favore dei biancoscudati insaccando di testa un calibratissimo traversone dalla sinistra di Renzetti. Ma il Brescia non diede certo per vinto, provando a pungere con Baiocco e Budel, mentre il Padova rispose con una fucilata dai trenta metri di Italiano e con una rovesciata di Soncin abilmente sventate dal portiere ospite Arcari. Incredibile: i biancoscudati erano tornati ad essere squadra vera. Una squadra capace di raddoppiare agli sgoccioli del primo tempo con una capocciata del… “Cabezon” Matias Cuffa, su assist direttamente da calcio di punizione del solito Renzetti. Un solo imperativo in vista della ripresa: difendere il vantaggio. E così fu: 2-1 il finale, con il Brescia ad accorciare le distanze al 76' con Caracciolo su calcio di rigore ed il Padova comunque a reggere fino al triplice fischio, rischiando anche di segnare il gol del 3-1 all'86 con Di Nardo, che timbrò un palo a tu per tu con Arcari. Sfortunatamente, però, l'exploit finale contro il Brescia non bastò ad ottenere la salvezza diretta: colpa dei contemporanei risultati positivi conseguiti dalle concorrenti degli uomini di Sabatini, vale a dire Vicenza, Modena, Reggina ed Ancona. Il responso fu dunque chiaro: playout contro la Triestina, che chiuse il campionato a pari merito con i biancoscudati a 51 punti (quota davvero elevata per i playout), risultando però in vantaggio nel computo degli scontri diretti, così da godere della possibilità di giocare la gara di ritorno al Rocco, di fronte al proprio pubblico. Fondamentale dunque per il Padova riuscire a mettere le cose in chiaro già al termine della gara d'andata, in programma il 4 giugno.
    Di fronte ai 13500 dell'Euganeo che accolsero le squadre sul terreno di gioco con bandiere, sciarpe e coreografie biancoscudate, il punteggio però sembrava non volersi schiodare dallo 0-0, complice l'atteggiamento conservativo assunto dagli alabardati di Daniele Arrigoni, proprio il tecnico che pochi mesi prima aveva rifiutato le avances del Padova dopo l'esonero di Sabatini. Allora, per cercare di spostare gli equilibri sul terreno di gioco, Cestaro si reinventò tattico della squadra, mettendo a punto la “barriera sparpagliata”. Al rientro delle squadre negli spogliatoi per l'intervallo, l'imprenditore di Schio prese per il braccio il ds De Franceschi: “Scendi giù – gli ordinò – e di' a Sabatini di mettere la barriera più sparpagliata, perché messi così, tutti in fila, è più semplice per gli avversari. Dobbiamo vincere, nel secondo tempo voglio vederne tre dietro e sette davanti”. Checchi obbedì. O meglio, finse di farlo. Al triplice fischio il punteggio era ancora fermo sullo 0-0. Ergo, come l'anno precedente, sarebbe occorsa una nuova impresa esterna all'ultima battaglia per salvare la stagione. Un nuovo pareggio avrebbe infatti arriso alla compagine giuliana.
    Come fare per replicare il successo di Busto? Semplice, scendendo in campo con la stessa maglia, quella giallo fluo. Ed i risultati, in effetti, si videro sin da subito, quando già al 2' Vantaggiato sbloccò le marcature con un potente mancino dal limite dell'area facendo esplodere di gioia i 2000 tifosi biancoscudati che erano riusciti ad aggiudicarsi un biglietto per il settore ospiti del Rocco, oltre ovviamente a quelli rimasti in città a fremere di fronte ai maxischermi o ai televisori. La reazione triestina non si fece però attendere, con l'ariete Denis Godeas che tentò di riportare il punteggio in parità con una repentina girata di destro prima e con un colpo di testa da distanza ravvicinata poi, sul quale Agliardi si rivelò per fortuna provvidenziale. Ma era il Padova a condurre il gioco, a meritare di rimanere in Serie B. Così, dopo tre nuovi squilli di tromba del vivacissimo Vantaggiato ancora nel corso del primo tempo ed un gol annullato ad Italiano in avvio di ripresa, ecco arrivare finalmente il sigillo del 2-0 al 66' con Cuffa, abile a ricevere il pallone poco fuori dall'area di rigore, ad eludere la marcatura di Cottafava con un beffardo tunnel, ed infine ad insaccare la sfera alle spalle di Calderoni, siglando così il proprio settimo centro stagionale. Fu il colpo di grazia per i padroni di casa, che tentarono di reagire al doppio svantaggio, costretti però ad arrendersi di fronte ad un Agliardi in versione saracinesca. Ed a mettere la ciliegina sulla torta ad una serata perfetta ci pensò poi Bonaventura, a cinque minuti dal 90'. 3-0 e via ai meritatissimi festeggiamenti. Tra i più osannati dai tifosi senza dubbio mister Sabatini, nuovamente artefice di un'impresa prestigiosa quanto insperata. Ma il suo tormentato rapporto con il Padova era ormai giunto al capolinea. Necessario voltare pagina sia per lui che per la società biancoscudata in vista della stagione successiva. Una stagione che – per la cronaca – vedrà nuovamente la partecipazione in cadetteria della Triestina, ripescata poche settimane dopo i playout a causa del fallimento dell'Ancona. Alla fine dunque si rivelò ininfluente lo spareggio tra biancoscudati ed alabardati per la permanenza in Serie B, ma si sa, nel calcio come nella vita, l'onore prima di tutto. Sempre.
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    I leoni del Nereo Rocco
     
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