Padova story

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  1. padova81
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    Padova due volte Campione d'Italia. Bugia? Scherzo? No, realtà.
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    17.11.2014 15:55 di Alessandro Vinci

    Padova campione d'Italia. No, non è una bugia. Nemmeno uno scherzo. E' la più oggettiva delle realtà. Campione d'Italia Primavera, beninteso. E per ben due volte. Traguardi meritatissimi per un vivaio, quello biancoscudato, senza dubbio storicamente annoverabile tra i migliori del calcio italiano. Una fucina di talenti nata sin dal principio, cioè da quel fatidico 29 gennaio 1910, i cui fondatori stabilirono in sedici anni l'età massima ed in due lire sia la tassa d'ammissione che la quota mensile per entrare a farne parte. E le soddisfazioni non tarderanno ad arrivare, prima di esse lo svezzamento calcistico del grande Silvio Appiani negli anni immediatamente antecedenti alla Grande Guerra. All'eroe biancoscudato seguiranno poi decine e decine di nomi illustri del calcio italiano: da Campioni del Mondo quali Perazzolo e Del Piero a cannonieri con più di cento gol all'attivo in Serie A come Busini e Cappello, per finire con giocatori con più di duecento presenze, sempre in massima serie, (oltre ai quattro già citati) come “Cice” Monti, Benito Sarti e Albertino Bigon. Ma anche molti altri furono coloro i quali, una volta usciti dal vivaio biancoscudato, andarono a fare carriera ad alti livelli, in alcuni casi con la maglia del Padova, in altri verso lidi diversi.

    Il primo dei due scudetti conquistati dalla Primavera (anche se più propriamente si trattava della squadra Juniores, poiché le squadre Primavera come le si intende oggi nacquero a partire dal 1962) arriva nella stagione 1960-1961, e ciò permise alla maglia biancoscudata di fregiarsi della classica coccarda tricolore riservata ai Campioni d'Italia per la prima volta nella storia della società. E scusate se è poco. Quello era il Padova di Alfonsi e Tansini, entrambi ex calciatori biancoscudati, che a partire dagli anni '40 iniziarono ad occuparsi delle giovanili della società per un'esperienza che si rivelerà ultraventennale. Una coppia veramente ben assortita, a giudicare dalle testimonianze dei calciatori da loro allenati. Tansini era una persona ordinata, precisa, signorile ed attentissima al comportamento dei suoi ragazzi, ai quali si rivolgeva sempre in italiano e dando loro del lei. Insomma un vero educatore, prima che allenatore. Il suo vice, Alfonsi, padovano DOC, invece era più “ruspante”, più sanguigno, e traduceva in dialetto veneto gli ordini del suo collega. Un tandem perfetto per guidare una squadra di giovani, come quella della stagione '60-'61, nella cui rosa figuravano futuri giocatori della prima squadra come Mario Boetto (7 presenze complessive), Carlo Zerlin (25), Rinaldo Frezza (56), Giovanni Fracon (28), Giuseppe Petranzan (3) e soprattutto, il capitano di quella squadra, Valeriano Barbiero (119). Al torneo, strutturato sulla base di fasi eliminatorie a partire addirittura da quelle provinciali, partecipavano ben 233 squadre da tutta Italia. “Nella prima fase non ci furono problemi”, ci confida Mario Boetto, il centravanti di quella squadra. “Quelle partite le vincevamo sempre con almeno quattro o cinque gol di scarto rispetto ai nostri avversari. Poi però più si andava avanti, più arrivava il difficile”. Eh sì, perché dopo aver superato in scioltezza la fase provinciale, il Padova viene inserito nel girone del nordest insieme ad altre otto compagini di Serie A e di Serie B quali Triestina, Udinese, Venezia, Hellas Verona, Treviso, Lanerossi Vicenza, Spal e Marzotto, più l'“intrusa” del girone, ossia la Mestrina, unica squadra di Serie C. Gare di andata e ritorno. “Fu una marcia trionfale” – prosegue Boetto – “vincemmo tutte le partite ad eccezione di quella interna contro il Venezia, che perdemmo per 2 a 1”. Troppo poco per impedire ai giovani biancoscudati di qualificarsi per le finali dell'Alta Italia, nell'ambito delle quali vennero inseriti in uno dei due gironi di qualificazione alle finali nazionali in compagnia del Brescia e della corazzata Inter, una squadra che poteva contare su gente del calibro di Facchetti, Mazzola e Boninsegna. Ma anche in questo caso Barbiero e compagni non delusero, continuando contro ogni pronostico la loro marcia verso la conquista del tricolore: primo posto e pass staccato per le finali di Grosseto, da disputarsi tra il 28 ed il 30 giugno del '61 nel nuovissimo stadio Olimpico Comunale (l'attuale Zecchini), inaugurato solamente l'anno precedente. Avversarie del Padova, la Pro Patria (uscita vincitrice dal proprio girone contro Genoa e Juventus) e le due rappresentanti del centro-sud, ossia il Benevento e la Roma di De Sisti. Le semifinali del 28 giugno furono incrociate e videro la Pro Patria avere la meglio sulla Roma per 1 a 0 ed il Padova sconfiggere il Benevento per 3 a 1, con rete di Zerlin e doppietta di Rinaldo Frezza, ala destra che però, quando passerà in prima squadra, giocherà sempre da interno di centrocampo. Il Padova approda dunque in finale. Contro la Pro Patria. Ad un passo da un traguardo storico. C'è fibrillazione nello spogliatoio dei giovani biancoscudati la sera del 30 giugno, poco prima dell'inizio del match. Fibrillazione che si trasforma però in sorpresa e stupore: poco prima dell'inizio delle ostilità, Tansini comunica che bomber Mario Boetto giocherà con il numero sette, da ala destra. Al suo posto al centro dell'attacco agirà Frezza. Questa dunque la formazione che scese in campo quella sera contro i bustocchi: Scarpi; Scucciari, Barbiero; Fracon, De Toni, Zurlo; Boetto, Lago, Frezza, Zerlin, Munegato. “Avevamo fatto una marachella. Sai, quando si è giovani...” - ci confida lo stesso Boetto - “Però non so se Tansini abbia operato quel cambio tattico per punirmi oppure solamente per scompigliare un po' le carte agli avversari. Forse entrambe. Fatto sta che all'altezza del quarto d'ora, Alfonsi, il suo vice, mi comunica di spostarmi nel mio ruolo naturale. Cinque minuti più tardi segnai l'uno a zero”. Il Padova è dunque in vantaggio. E successivamente arriverà anche il raddoppio dell'ala sinistra Munegato. Il Padova è Campione d'Italia. Chi l'avrebbe mai detto? “Eravamo felicissimi” – ricorda Boetto – “dopo la partita, in spogliatoio, ci guardavamo negli occhi, ma nessuno si era ancora reso conto dell'impresa che avevamo portato a termine. Iniziammo a capirlo solamente quindici-venti giorni più tardi, quando realizzammo quali squadre avevamo battuto in un torneo che comprendeva Juve, Milan, Inter e via dicendo. Ma il momento più bello fu due mesi più tardi, ad agosto, quando, in occasione del Torneo di Pescara (una competizione giovanile internazionale che si disputava ogni anno n.d.r.), indossammo per la prima volta le maglie biancoscudate con il tricolore sul petto. Ancora oggi, ad oltre cinquant'anni di distanza, mi vengono i brividi solo a pensarci. I complimenti furono moltissimi, ma purtroppo con Rocco esordire in prima squadra era praticamente impossibile. Piuttosto che far giocare un giovane avrebbe preferito schierare uno dei suoi fedelissimi anche da zoppo, nonostante noi dessimo regolarmente del filo da torcere alla prima squadra nelle classiche partitelle del mercoledì. Una volta, nel gennaio del 1960, arrivammo anche a vincere per 3 a 2: due reti le segnai io, l'altra Munegato. Ma non ci fu mai nulla da fare. Lo stesso dicasi per Mari e Serantoni nella stagione '61-'62. Gli unici giovani che Rocco in quegli anni fece giocare in prima squadra furono Sarti e Nicolè, ma solamente perché l'infermeria era piena e non si riusciva ad arrivare ad undici giocatori”. Questa dunque la sorte dei giovani biancoscudati campioni d'Italia Juniores 1960-1961, nessuno dei quali riuscirà mai ad esordire in Serie A con la maglia del Padova, anche a causa della retrocessione della squadra in Serie B datata 1962. Che ne fu di loro? Ci fu chi proseguì la carriera da calciatore tra le fila biancoscudate (i sei giocatori sopracitati) e chi migrò verso altre piazze (Munegato al Monselice, Scucciari al Rovigo, De Toni all'Enna). Chi cambiò sport, ossia Zurlo, che si diede all'atletica, e chi abbandonò presto il calcio giocato, come Lago, che proseguì l'attività di import export di famiglia, e Scarpi, che si dedicò alla fotografia. Destini diversi, ma una presenza comune nel libro della storia del Calcio Padova.

    Ma, come detto, quello del '60-'61 non fu l'unico trionfo della Primavera biancoscudata. Per assistere al secondo, infatti, basterà attendere solo cinque anni. Non molti, certamente. Ma cinque anni durante i quali ebbero luogo importanti cambiamenti, in primis quello relativo alla formula del torneo, poiché a partire della stagione 1962-1963 venne istituito l'odierno Campionato Primavera, che sino al 1969 prevedeva l'assegnazione di due titoli nazionali: uno per i campioni di categoria tra le squadre di Serie A, l'altro per quelli di Serie B. Ed i giovani del Padova rientravano proprio in quest'ultima categoria, militando la prima squadra, allenata in quella stagione '65-'66 da Montanari prima e Rosa poi, proprio in cadetteria. Inoltre, anche in seno allo stesso settore giovanile biancoscudato ci furono rilevanti novità: nell'estate del 1964, infatti, lo stesso Serafino Montanari (all'epoca allenatore della Triestina), accettò di guidare il Padova, ma solo a condizione di gestire e coordinare in prima persona l'attività dell'intero settore giovanile. Il presidente Vescovi procedette dunque a dargli carta bianca. Il 21 luglio ecco quindi l'arrivo di un'inaspettata notizia: Alfonsi e Tansini sollevati dal loro incarico per “raggiunti limiti di età” (per la cronaca, avevano rispettivamente 51 e 63 anni). Al loro posto, due giorni più tardi, vennero nominati responsabili del settore giovanile due mostri sacri come Matè e Scagnellato. Ma una volta esonerato l'ex tecnico della triestina nel gennaio del '66, ecco tornare Tansini al suo posto, alla guida delle formazioni giovanili biancoscudate, complice anche il pensionamento, l'anno precedente, del segretario della società Armando Gobbo, il cui posto venne preso da Scagnellato, mentre a Matè rimase quello di vice-allenatore della prima squadra. Il nuovo, vecchio allenatore, dunque, iniziò subito a proseguire l'ottimo lavoro svolto dai suoi due predecessori, che gli avevano lasciato in eredità una squadra di tutto rispetto. Un gruppo che poteva contare su un centrocampo ed un attacco di considerevole caratura tecnica, annoverando, fra gli altri, elementi come le ali Quintavalle (67 presenze in prima squadra per lui), Filippi (146) e Lanciaprima (34), gli interni Dal Pozzolo (95) e Lazzaretto (una sola presenza, ma era considerato dagli addetti ai lavori come un potenziale fuoriclasse), e sugli attaccanti Paolo Bergamo (45) ed Albertino Bigon (70). “Eravamo un grande gruppo” - ci confida quest'ultimo, futura bandiera del Milan nonché allenatore del secondo scudetto del Napoli maradoniano datato 1990. “C'era molto affiatamento tra noi. Io in quella stagione ormai facevo stabilmente parte del gruppo della prima squadra, quindi disputai interamente solo la fase finale del torneo Primavera. Ma, nonostante ciò, il legame che ci univa era forte, tanto forte da resistere anche oggi, a cinquant'anni di distanza. Non ricordo difficoltà nella conquista del tricolore. Scendevamo in campo tranquilli, convinti del nostro valore, giocavamo bene e vincevamo. Questo è quanto. Riguardo ad Alfonsi e Tansini, cosa dire... Sono i miei padri putativi. Mi hanno fatto crescere. Devo a loro gran parte di ciò che sono diventato, più fuori che dentro il campo. Sono loro che mi hanno instillato le regole ed i valori della squadra e del gruppo. Insegnamenti che mi sono serviti prima da giocatore, ma poi, ancor di più, da allenatore”. Sfortunatamente, i dati relativi a squadre affrontate e risultati maturati non sono giunti fino ad oggi, ma le parole di Bigon lasciano ampiamente intendere come si sia sviluppato il torneo.

    Da quarantotto anni a questa parte, purtroppo, la Primavera è rimasta a secco di vittorie. Ora come ora, con la discesa in Serie D, la formazione Primavera non esiste più, rimpiazzata per la prima volta al vertice della piramide del vivaio dalla squadra Juniores che, sotto la guida di Gualtiero Grandini, con il successo maturato ieri sul campo del Giorgione, ha ottenuto la nona vittoria su nove gare disputate in campionato. Che sia la volta buona per far tornare a sorridere il Biancoscudo non solo a livello di prima squadra, ma anche a livello giovanile?

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    Primavera 1961 con tricolore
     
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