Padova story

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  1. padova81
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    Successi ed intuizioni di Piero Aggradi, uomo che ha fatto grande il Calcio Padova
    Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
    22.09.2014 14:05 di Alessandro Vinci articolo letto 366 volte
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    “Questi sono venuti qui per distruggere tutto”. Era l'indomani della retrocessione in Serie B del Padova, nel 1996. E Viganò aveva appena dato il benservito a Mauro Sandreani. Una frase sussurrata confidenzialmente ai tifosi presenti a Bresseo. Un frase che si rivelò profetica. Chissà cos'avrebbe detto la scorsa stagione, intuito lo scempio che qualche altro imprenditore venuto da lontano stava per commettere ai danni del Calcio Padova. Di chi stiamo parlando? Di Piero Aggradi, indimenticato direttore sportivo del Padova anni '90. Di lì a poco avrebbero mandato via anche lui, salvo poi richiamarlo nel novembre del 1997 al posto del dimissionario Altobelli per cercare di rimettere in sesto una situazione ormai indirizzata verso il baratro. Ma andiamo con ordine, perché Aggradi, prima che ottimo dirigente, è stato anche discreto calciatore. Torinese classe '34, all'età di dodici anni entra a far parte del settore giovanile della Juventus, per poi, terminata la consueta trafila, venire spedito dalla società bianconera in prestito prima al Monza, in Serie B, e successivamente alla Carrarese, in C. Nel 1954 quindi eccolo tornare alla casa madre, dove rimarrà per tre stagioni, durante le quali totalizza solamente 14 presenze complessive, esordendo in Serie A il 30 ottobre 1955 in occasione di un Roma-Juventus terminato 1 a 1. Dopo le altrettanto poco prolifiche esperienze a Palermo ed Alessandria, Aggradi trova la sua dimensione in Serie C, al Pordenone, con cui conquista, nel ruolo di centromediano, un ottimo terzo posto finale nella stagione 1959-1960 (miglior piazzamento di sempre della squadra friulana). Quella stessa estate, però, viene ceduto al Cesena, sempre in Serie C. Ma dopo un solo anno in Romagna, il torinese Aggradi decide di tornare nel suo Piemonte e si accasa al Casale, con cui, in due stagioni, colleziona 47 presenze impreziosite da 18 reti. Dopo la retrocessione dei nerostellati in Serie D, decide di avvicinarsi ulteriormente a casa passando al Chieri, che all'epoca militava in Serie D, dove concluderà la carriera nel 1966 all'età di trentadue anni. Appese le scarpette al fatidico chiodo, sceglie di intraprendere la carriera da dirigente, ottenendo il suo primo incarico nel 1974, come direttore sportivo del Pescara neopromosso in Serie B. Come andò a finire? Tre anni più tardi gli abruzzesi ottennero la prima promozione in Serie A della loro storia. L'esperienza in massima serie, però, si rivelò effimera e povera di soddisfazioni per i biancoazzurri e la squadra tornò subito in Serie B, dopo aver concluso il campionato al sedicesimo ed ultimo posto, con un magro bottino di soli diciassette punti. Per Aggradi è il tempo dei saluti. Il suo posto viene preso da Giovanni Ballico (futuro segretario del Padova dal 1980 al 1984). Aggradi non impiega molto a tornare in pista e, rotolando verso sud, si accasa in Serie A al neopromosso Catanzaro, che, allenato da Carletto Mazzone, a fine stagione si classificherà al nono posto. Niente male per una squadra che sino all'anno precedente aveva giocato in B. Dal 1981 al 1986 eccolo poi al Campobasso, squadra che puntualmente nella stagione 1981-1982 ottiene la sua prima promozione in Serie B, permanendovi sino al 1987, ma, a quel punto, Aggradi aveva già salutato il Molise. Nel frattempo, il 13 febbraio 1985, giorno dell'inaugurazione del Selvapiana, i padroni di casa avevano conquistato una storica vittoria per 1 a 0 contro la Juventus di Boniek e Platini (che di lì a poco avrebbe vinto la Coppa dei Campioni, anche se nell'occasione ci sarà ben poco da gioire) nella gara d'andata degli ottavi di finale della Coppa Italia di quella stagione (per la cronaca, il ritorno a Torino terminò 4 a 1 in favore dei bianconeri). Nella sua risalita dello stivale, prima di giungere a Padova, Aggradi fa tappa a Perugia. Con lui in veste di ds, i grifoni, scivolati in Serie C2 due anni prima a causa del coinvolgimento nel totonero-bis, nel 1988 risalgono in C1 guidati in panchina da Mario Colautti ed in campo da due giovani assai promettenti: Fabrizio Ravanelli, prodotto del vivaio, e Angelo Di Livio, in prestito dalla Roma. Colautti e Di Livio. Due nomi che troveremo presto alle nostre latitudini, così come lo stesso Aggradi, che il 15 maggio 1989 sostituisce Pastorello, passato al Parma, nel ruolo di direttore sportivo del Padova di Puggina, all'epoca in Serie B ed a digiuno di Serie A da ben ventisette anni. L'obiettivo del Presidente è presto detto: riconquistarla. Ed il Padova, con Aggradi, ci riuscirà. In vista della stagione 1989-1990 si fanno due nomi per la panchina biancoscudata per il dopo-Buffoni: Nevio Scala e Mario Colautti. A spuntarla, a sorpresa, risulta invece Enzo Ferrari, reduce da una non esaltante esperienza ad Avellino. Per quanto riguarda il mercato, giusto per far capire ai tifosi di che pasta è fatto, Aggradi durante l'estate fa arrivare all'ombra del Santo un giovane e pressoché sconosciuto terzino che militava nel Brindisi. Un giocatore che i tifosi impareranno ben presto ad apprezzare: il ventunenne Antonio Benarrivo. Altri acquisti estivi sono quelli di Pradella, Albiero, Bistazzoni, Murelli e Pasa. La squadra però non ingrana, nonostante il nome del suo allenatore. Ad ottobre, nella finestra autunnale del calciomercato, Aggradi è perciò chiamato a calare gli assi e porta in biancoscudato un certo Nanu Galderisi, ventisettenne attaccante salernitano di proprietà del Milan, che solamente quattro anni prima aveva vinto da protagonista lo scudetto con la maglia dell'Hellas Verona, partecipando poi ai Mondiali messicani dell'anno successivo. I tifosi però storcono il naso. Lo credono un giocatore pressoché finito, ormai entrato nella fase calante della sua carriera. Il tempo darà loro torto. Rammentiamo a proposito un dato: nel 2010 Nanu è stato eletto “Calciatore biancoscudato del Secolo”, ed i motivi li conosciamo. Ma l'attaccante campano non è l'unico capolavoro autunnale del buon Piero: tra lo sgomento generale, viene acquistato dal Perugia, il suo Perugia, Angelo di Livio, in cambio di Fermanelli, beniamino dei tifosi. Ed anche in questo caso Aggradi ci vide lungo... Il Padova, però, a novembre arranca ancora nei bassifondi della classifica. Dopo la sconfitta di Monza perciò la società esonera Ferrari. A chi affidare il delicato compito di salvare il Padova? Puggina si consulta con Aggradi, che non ha dubbi nel consigliargli Mario Colautti, artefice della promozione del Perugia in Serie C1 l'anno precedente. Risultato? Remuntada biancoscudata e decimo posto finale, a più tre punti sulla zona playout. La stagione successiva, poi, il Padova arrivò ad un centimetro dalla Serie A, non riuscendo però a raggiungerla al fotofinish, nella fatal Lucca. Nonostante ciò, però, anche questa stagione va considerata come un capolavoro di Aggradi, che nel mercato estivo aveva acquistato, tra gli altri, Zanoncelli, Nunziata e Longhi, di ritorno da un'annata a Pescara e, cosa non meno importante, aveva respinto con fermezza le avances dell'Inter per Galderisi (giusto perché era un giocatore finito...). Ma anche stavolta il Padova si era ritrovato ben presto in fondo alla classifica. Colautti non si tocca, ordina Aggradi, che a novembre procede all'acquisto (in prestito) di Demetrio Albertini, diciannovenne centrocampista di proprietà del Milan. Ed anche in questo caso i tifosi non fecero certo i salti di gioia, aspettandosi qualche rinforzo di maggior esperienza. Ed anche in questo caso... Beh, il ritornello è sempre lo stesso. La stagione '91-'92 si rivelò poi un'annata di transizione, con le partenze di Colautti, Albertini e Benarrivo, ed il Padova terminò il campionato a metà classifica, con il vice del nuovo allenatore Bruno Mazzia, Mauro Sandreani, a risollevare in primavera le sorti di una squadra partita, ancora una volta, con il piede sbagliato, cosa che, fortunatamente, non accadrà nella stagione successiva. Aggradi, infatti, puntella la squadra con gli arrivi di Gabrieli, Cuicchi e Modica, che vanno ad aggiungersi alla già rodata ossatura formata dai vari Bonaiuti, Rosa, Ottoni, Franceschetti, Longhi, Di Livio, Nunziata, Ruffini, Galderisi e Montrone. Ma anche stavolta i sogni di gloria dei biancoscudati non si realizzano per un solo punto, con la squadra di Sandreani che termina il campionato al quinto posto, ad una sola lunghezza di distanza da Lecce e Piacenza, promosse in massima Serie. E' un duro colpo per la piazza, che per giunta in estate perde una pedina fondamentale come “il soldatino” Di Livio ed una giovane promessa cresciuta nel vivaio come Alex Del Piero. Alla voce “arrivi”, invece, figura il solo Maurizio Coppola, acquistato dalla Fidelis Andria. Le premesse non sono certo delle migliori per conquistare, dopo tanti tentativi, la promozione in Serie A. E' lo stesso Nanu Galderisi, a posteriori, a dichiarare che quell'anno la squadra era tecnicamente più debole rispetto alle stagioni precedenti. Evidentemente, però, non lo era a livello di affiatamento. Il finale lo conosciamo bene ed è un happy ending, finalmente. Dopo lo spareggio di Cremona, il 15 giugno del 1994, il Padova torna in Serie A, dopo trentadue, lunghissimi anni, durante i quali il biancoscudo aveva persino assaporato l'amaro sapore della C2. Tra gli artefici della promozione, ovviamente, non si può non menzionare colui che quel gruppo lo costruì pezzo per pezzo, mattone dopo mattone: Piero Aggradi. Ma di tempo per festeggiare ce n'è poco. C'è da costruire una squadra da Serie A. Il ds torinese, dunque, si mette subito al lavoro e riesce nell'impresa di allestire un organico che al termine della stagione riuscirà ad ottenere la salvezza, al termine dell'epico spareggio di Firenze contro il Genoa. Gli acquisti sono pochi ma buoni: i colpi del mercato estivo sono quelli di Alexi Lalas, centrale difensivo statunitense messosi positivamente in luce ai Mondiali di casa, e di Goran Vlaovic, attaccante del Croatia Zagabria (attuale Dinamo Zagabria), strappato a sorpresa dalle mani dell'Ajax, squadra dalla quale verrà prelevato, nel mercato autunnale, Michel Kreek, che diventerà da subito pilastro insostituibile del centrocampo biancoscudato. Gli altri volti nuovi portati in biancoscudato da Aggradi sono quelli di Balleri e Zoratto dal Parma e di Carletto Perrone, di ritorno al Padova dopo quindici anni, dall'Atalanta. La stagione successiva, però, il bis non arrivò, complici le partenze di alcuni elementi della squadra titolare quali Maniero, Balleri e Franceschetti, tutti e tre ceduti alla Sampdoria (squadra dalla quale arrivò il giovane Nick Amoruso, che realizzerà ben 14 reti in campionato), in diretta conseguenza dei dettami del presidente Giordani, succeduto l'anno precedente a Puggina: stringere la cinghia. In entrata, perciò, Aggradi cerca di fare di necessità virtù e porta in biancoscudato giocatori dai non esaltanti curricula (Sconziano, Giampietro e Van Utrecht) oppure in prestito (Fiore e Nava). La squadra sembra essersi indebolita rispetto alla stagione precedente. Come se non bastasse, Vlaovic viene costretto ai box per le prime undici giornate di campionato dalla meningite. Il Padova cerca, senza troppa fortuna, di tenersi a galla durante il girone d'andata, per poi arrivare al tracollo verticale in primavera, quando perderà undici partite consecutive, salutando così, dopo due stagioni, la Serie A. Nel frattempo, il 15 marzo, Viganò, insieme ai suoi soci Corrubolo e Fioretti, aveva acquistato ufficialmente il Calcio Padova, diventandone il presidente. A fine stagione, dunque, ecco la rivoluzione, con la sostituzione di Sandreani con Materazzi e di Aggradi con Altobelli. Ma la storia tra Pierone (così era soprannominato dai tifosi biancoscudati) ed il Padova non termina qui. Vivrà infatti un ultimo ed inaspettato capitolo a partire dal novembre del 1997, quando lo stesso Viganò, rimasto orfano dei suoi soci e bisognoso di sostituire il dimissionario Altobelli, lo richiama all'ombra del Santo per tentare di risollevare nel mercato di gennaio le sorti di una squadra che, a sorpresa, stava seriamente rischiando di scivolare in C1. Aggradi si mette al lavoro e cerca di tappare le falle di una barca, quella biancoscudata, ormai ad un passo dal naufragio, scovando tra i dilettanti del Reggiolo uno sconosciuto quanto talentuoso attaccante di nome Vincenzo Iaquinta ed affidando la panchina al suo allenatore di fiducia: Colautti, che va a sostituire Pillon. Ma neppure il nuovo, vecchio condottiero al timone dei biancoscudati riuscirà ad evitare la retrocessione. Sono passati solamente due anni dal '96 eppure i fasti della Serie A e dei campionati di vertice di Serie B sembrano lontani un secolo. No, quello non è più il Padova di Piero. Siamo al capolinea. Aggradi lascia la società biancoscudata nel dicembre del 1999, allontanato da Viganò a causa dei non esaltanti risultati che la squadra stava registrando in campionato. Gli ultimi, fortunati capitoli della lunga carriera del ds torinese sono rappresentati da due brevi esperienze a Chieti prima (promozione in Serie C1 nella stagione 2000-2001) ed a Cava de' Tirreni poi (promozione in Serie C2 nella stagione 2002-2003). A quasi settant'anni d'età, dunque, Aggradi decide di accomiatarsi dal mondo del calcio e di stabilirsi a Pescara, città nella quale aveva lavorato negli anni '70, non disdegnando di presenziare in veste di opinionista in trasmissioni televisive abruzzesi e venete. Il 17 luglio del 2008 si spegne nella sua casa di Pescara, esattamente una settimana dopo il suo amico Lello Scagnellato, colto da improvviso malore. La notizia della sua morte è stata accompagnata da cordoglio e tristezza da parte di tutti coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo. Perché, oltre che abile dirigente e serio professionista, Aggradi era anche un signore, sempre saggio e misurato. Mai una parola fuori posto, mai una polemica di troppo. Inconfondibile poi il suo look alla Federico Fellini con cappello scuro e sciarpa al collo, segni distintivi di un uomo che ha fatto grande il Calcio Padova.
     
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